Nel calcio i confronti tra stagioni diverse sono molto complessi, se non insensati. Se proprio li si volesse fare, escludendo la coinvolgente componente emotiva mancata in questo campionato, il Napoli di Ancelotti è stato poi così peggiore di quello dello scorso anno?
Oramai è certo: per la tifoseria napoletana i 91 punti della scorsa stagione, invece di essere uno splendido (e un pò amaro) ricordo, rischiano di diventare per chissà quanto un pericoloso e dannoso fantasma col quale fare i conti. Seppur non abbiano garantito null’altro che il record di punti per una squadra arrivata al secondo posto – ma i primati sono fatti per essere battuti e svanire, a differenza dei trofei e (anche) delle posizioni finali – verranno ricordati per la coinvolgente rincorsa al titolo, condotta sino alle ultime giornate. Era recentemente già capitato, con un organico tecnicamente inferiore, anche con la gestione di Mazzarri, ma col tecnico livornese l’illusione della possibile vittoria fu, va detto, minore.
Il paradosso è che forse un giorno il Napoli vincerà un campionato totalizzando ottantacinque punti, ma per alcuni non sarà mai un traguardo bello e importante come il secondo posto raggiunto avendone raccolti novantuno nel 2017-18.
La distanza dalla Juve, ingiusto, unico metro di valutazione
Lo si capisce soprattutto in questi giorni, nei quali le due bruttissime partite di campionato giocate dal Napoli con Empoli e Genoa e l’andata dei quarti di Europa League con l’Arsenal hanno aumentato i malumori di una parte della tifoseria. Un distacco di diciassette punti dalla Juve senza dubbio molto grande e in parte evitabile, sebbene abbia varie spiegazioni. Non ultima, la stratosferica campagna di trasferimento chiusasi con un passivo di oltre 150 milioni da parte della vincitrice degli ultimi sette campionati, trovatasi in casa Kean e capace di acquistare top player nei loro rispettivi ruoli come Cristiano Ronaldo, Bonucci, Cancelo e Emre Can. Diventa persino necessario scomodare Lapalisse: certamente un secondo posto per qualunque squadra è preferibile ad averne solo quindici dalla prima e essere però terzi (o anche peggio). Guardando indietro alla prima stagione di Ancelotti a Napoli, tra qualche tempo resterà associato solo un importante secondo posto, appena il settimo nella pur prestigiosa storia del Napoli.
Un piazzamento che dovrebbe inorgoglire e già di per sé rappresentare un elemento di elevato gradimento per la tifoseria, soprattutto perché ha permesso di capire che questa squadra lo vale a prescindere da quale ottimo allenatore la guidi e che sia un piazzamento conquistabile non rinunciando a giocare le coppe. Raggiungerlo non era scontato: le avversarie si erano rafforzate più di quanto avesse comunque fatto il Napoli, unica squadra tra le big ad avere l’oggettivo svantaggio di aver cambiato guida tecnica, tra l’altro con l’aggravante di stare lasciando una identità di gioco molto marcata. Un merito di questa stagione è aver reso ovvia la forza dell’organico del Napoli, sino all’anno scorso messa in dubbio: in realtà la maggioranza di addetti ai lavori e tifosi credeva e scriveva che la bontà dei risultati (due secondi posti e una sola semifinale in Coppa Italia, per il resto la parola “Coppe” già a febbraio non è più esistita a Napoli per tre anni non è esistita) dipendesse dai precedenti schemi di gioco. Troppi hanno dimenticato lo scetticismo generale che aleggiava la scorsa estate sulla squadra partenopea, secondo molti a serio rischio qualificazione in Champions. Il secondo posto è invece quasi al sicuro, ma nonostante questo e un cammino europeo (sia in Champions che in Europa League) ben diverso da quello avuto un anno fa, sono ricomparsi inutili e dannosi paragoni col passato.
Contro i paragoni tra stagioni, in un senso o nell’altro
La premessa fondamentale è che in assoluto sia impossibile paragonare annate calcistiche traendone conclusioni certe: cambiano infinite variabili di anno in anno, tra le quali i calendari delle stagioni calcistiche, i valori degli avversari, nonché quelli della propria rosa. Proprio in tal senso, un fattore da non dimenticare è che unanimamente ad agosto si riteneva aumentato il livello medio della Serie A e che la difficoltà media di fare punti sia, come logica conseguenza, aumentata. Attenzione: è insensato addentrarsi in paragoni anche se dall’altro canto si ricorda che appena due anni fa il Napoli arrivò terzo, non secondo come quest’anno. E lo è anche se si precisa che la squadra di tre anni fa, erede di quella che dopo essersi dedicata con sfortuna alle due coppe aveva terminato a sette punti dalla seconda ma fuori dalla zona Champions per un rigore sbagliato negli ultimi minuti di campionato, si era rinforzata non poco. Con tre nuovi giocatori di livello come Reina, Hysaj e Allan (al posto di titolari per diversi motivi oramai inadeguati per la parte sinistra della classifica come Rafael, Maggio e David Lopez) approfittò della peggiore partenza della Juve da quando era tornata in A (12 punti nelle prime 10 giornate) per, sulle ali dell’entusiasmo, lottare per il titolo nei primi due terzi di campionato.
Tutti abbiamo negli occhi e conserviamo nel cuore il ricordo del meraviglioso Napoli ammirato nell’anno solare 2017, capace di vincere trentuno delle trentanove partite di campionato giocate, facendo 99 punti e segnando ben 96 reti. Una spettacolare “macchina di guerra” che, pur non vincendo nulla, ha segnato una pagina di storia del calcio. Uno sport non nuovo a raccontare l’incontro perfetto che ogni tanto accade tra un ambiente, un allenatore e le sue idee da una parte e le caratteristiche, le motivazioni, il momento della carriera e la disponibilità da parte dei giocatori a credere nella guida tecnica, dall’altra.
Una stagione si gioca e si valuta sulle tre competizioni a cui si partecipa
Se proprio vogliamo giocare a un confronto con le precedenti stagioni è in tutta evidenza scorretto valutare la positività di una annata, analizzando solo il campionato. La Serie A rappresenta appena una delle tre competizioni alle quali il Napoli ha partecipato negli ultimi due anni. Esiste ad esempio la Coppa Italia, dove la squadra partenopea è uscita in entrambe le ultime due stagioni ai quarti di finale: l’anno scorso perdendo in casa contro l’Atalanta, settima alla fine del campionato, quest’anno venendo invece eliminata in trasferta contro il Milan, attualmente quarto. Almeno al momento, tecnicamente -per valore dell’ avversario e opposto fattore campo che ha fatto da contorno alle partite- il “fallimento” più grave nella coppa nazionale lo si è avuto lo scorso anno, non questo.
In Europa, in Champions l’anno scorso il Napoli è uscito perdendo quattro partite nel girone di Champions e fermandosi ai sedicesimi di finale in Europa League. Quest’anno, in un girone molto più complesso, è stata persa solo una gara -contro il Liverpool vice campione d’Europa è stata tra l’altro vinta la partita più prestigiosa degli ultimi cinque anni- e in Europa League si è arrivati quantomeno ai quarti. Eliminando, tra l’altro, quell’Austria Salisburgo che nel suo girone lo scorso autunno aveva sconfitto per ben due volte proprio il Lipsia, quest’anno terzo nel campionato tedesco e che nella scorsa stagione, terminata peraltro solo al sesto posto, aveva estromesso il Napoli.
Ha più senso confrontare un’ultima abbondante parte del precedente campionato
Ma anche nel confrontare i soli campionati, ci sono varie precisazioni da proporre per fare un confronto il più possibile oggettivo. Una squadra deriva maggiormente dell’interezza del precedente campionato disputato o, ancora di più, la sua eredità la si misura restringendo il metro di paragone a un’ultima abbondante parte dell’ultima stagione? Noi crediamo che la risposta più esatta sia la seconda, e, per scrupolo, nel proseguire il ragionamento prendiamo a campione un vasto periodo, gli ultimi sette mesi della passata serie A, corrispondenti alle ultime ventisette giornate, ovvero due terzi abbondanti dello scorso campionato. Potremmo anche prendere in considerazione le sole ultime dodici giornate: nell’ultimo terzo di campionato il Napoli fece soli 22 punti e avremmo ancora più argomenti, essendo comunque un periodo rilevante. Abbiamo scelto un lasso temporale molto vasto non a caso: il suo inizio corrisponde con l’assenza del vero Ghoulam che, come detto in altro articolo, consideriamo uno dei segreti del Napoli meraviglioso visto nell’anno solare 2017. Dal novembre di quell’anno il Napoli ha fatto 60 punti, segnando 45 reti e subendone 21: numeri che ricordano molto da vicino quelli di questo primo Napoli di Ancelotti, rallentato prima dai cambiamenti necessari per dare alla squadra una nuova identità e poi dall’inevitabile rilassamento di chi sa di avere già certo il secondo posto.
Mertens e Insigne hanno fatto meglio quest’anno che negli ultimi due terzi dello scorso
Altra leggenda da sfatare è che Insigne e Mertens abbiano iniziato a rendere di meno col passaggio dal 4-3-3 al 4-4-2: sempre considerando gli ultimi sette mesi (e le relative ventisette giornate di Serie A), Lorenzo l’anno scorso siglò cinque gol e sette assist (quest’anno sono, rispettivamente, nove e sei), il belga otto con quattro assist (sinora sono 11 le reti e dieci i passaggi decisivi).
Il Napoli di questa stagione viaggia sinora a una media punti a partita di 2,09, leggermente inferiore al periodo che abbiamo considerato (da novembre 2017 sino alla fine della scorsa stagione si è proceduto a 2,22), segna con più facilità (1,91 a partita contro 1,66), ma subisce reti con leggera, ma maggiore frequenza (0,87 contro 0,78). Non va nemmeno dimenticato che il calendario nelle ultime sette giornate prevede un solo match -l’Inter in casa alla penultima- contro compagini posizionate nella prima metà della classifica e che è prevedibile che i numeri di questa stagione in campionato migliorino.
Soprattutto, non va dimenticato che l’anno scorso si era nella fase matura di un progetto triennale e che in questa stagione si stanno mettendo le fondamenta a uno nuovo. A numeri che letti attentamente in campionato sono simili, va aggiunto poi che nel girone di Champions siano stati ottenuti tre punti in più e in Europa League sono state vinte sinora due partite in più della scorsa stagione.
Insomma, tutta questa differenza complessiva di rendimento tra il Napoli visto in tutto il 2018 e nell’ultima parte del 2017 con la precedente gestione e quello di quest’anno, per avere poi lo stesso piazzamento in classifica, non la si vede. Non si capisce come, se la scorsa sia stata definita una stagione magnifica, questa possa dirsi invece non positiva, a prescindere da quello che accadrà da qui a fine maggio in Europa.
Ferruccio Roberti
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