Torno brevemente sulla questione Marchisio perché mi sta a cuore e perché a mio avviso è la pietra tombale su un modo diverso di intendere il calcio. Ora, capisco bene che in Italia siamo da sempre abituati alle fazioni, agli schieramenti, e che negli anni recenti la lacerazioni siano diventate un tratto ahimè distintivo del nostro Paese, nel calcio e non solo. Ma occorre anche un pizzico di buon senso, nonché la capacità di sforzarsi un poco (ma proprio poco), per non cedere immediatamente al riflesso pavloviano e provare a modificare la modalità di reazione.
Il giorno dopo continuo a considerare l’antipatia non un’offesa. E giudico francamente incomprensibile il comunicato del calcio Napoli che sfugge a ogni logica comunicativa (e politica). Non comprendo come mai, di fronte al caso Boateng, non si sia avvertita l’esigenza di schierarsi apertamente con il Milan e cogliere l’occasione per ricordare come il Napoli e i tifosi napoletani siano da sempre oggetto di offese negli stadi d’Italia. Sarebbe stato un modo intelligente ed educativo di affrontare il problema razzismo nel calcio italiano, tutelando anche la società e i propri tifosi. Nonché di porre, con tempi e modi inappuntabili, un problema politico.
E invece no. Il Napoli ha preferito esporsi contribuendo ad alimentare una polemica che non stava e non sta né in cielo né in terra. Perché, ribadisco, il moto di antipatia non è un’offesa e, vivaddio, anche il Napoli può stare antipatico a qualcuno. Un comunicato, quello del Napoli, che tende solamente ad acuire la distanza tra tanti napoletani e il resto d’Italia. Un comunicato che fa leva sul senso di isolamento – potrei dire ghettizzazione? – di tanti tifosi (e non solo) che trovò il suo senso più alto e manifesto nei fischi all’inno di Mameli durante la finale di Coppa Italia. Una scelta comunicativa che francamente non capisco. E, tutto sommato, una duplice occasione persa.
Massimiliano Gallo