Sono arroganti, presuntuosi, boriosi, gradassi. Insomma, sono romani. Probabilmente, se non abitassi a Roma, a Testaccio, avrei persino simpatizzato con loro in questi anni, ma ogni loro successo equivarrebbe (almeno) a un semestre di molestie. E così ho persino esultato al gol di Ibra a Parma. Ma in fondo i romanisti mi divertono e un po’ li invidio, in realtà non li tollero. Però li osservo.
E osservo che loro allo stadio entrano senza fare la fila come gli animali al macello. Una volta dentro, cantano in coro Roma di Venditti. Il nostro ingresso somiglia a quello delle bestie e solo una volta al San Paolo cantammo Napul’è, poi la canzone scomparve per motivi misteriosi (dai diritti allo sgradimento degli ultrà).
Loro sono romani, hanno avuto l’impero, e non la fanno buona a nessuno, nemmeno a chi li ha portati in cima (“Franco Sensi bla bla bla”); noi siamo appecoronati a un presidente che si è salvato dal disastro cinematografico grazie al Napoli e in conferenza stampa grida “Ma che cazzo avete vinto a Napoli? Guardate che se mi gira me ne vado” e i giornalisti lì a dirgli “No, per carità non se ne vada”.
Loro hanno un dibattito radio-televisivo all’americana; noi alla sovietica.
Loro, dopo soli tre anni di presidenza americana, presentano il progetto stadio; noi siamo ancora a palleggiarci tra il presidente, il sindaco e Marilù Faraone Mennella e sempre con la faccia sotto i piedi loro.
Loro hanno avuto Andreotti? Sono stati salvati da Unicredit? Bene, un applauso. Anche noi diventammo grandi grazie al Banconapoli e a Scotti sindaco che convinse Ventriglia nell’affare Maradona.
Loro se ne fregano dei bilanci, fanno i tifosi, non aspettano le cedole di rendimento; noi siamo consiglieri d’amministrazione per interposta persona, sembriamo i giocatori del Monopoli coi soldi finti.
Loro anche se perdono (e perdono, oh quanto perdono) sono la Magica e tirano dritto; da noi è una tragedia “perché chissà quando ci capiterà più un’occasione così”. Se poi ci pensate, loro hanno vinto solo uno scudetto in più di noi (durante il fascismo) e sì un bel po’ di Coppe Italia. Ma quelle, un tempo, nemmeno noi le festeggiavamo fino all’alba come se fossero Coppe Intercontinentali.
E poi loro, con un romano (di fatto è romano) si sono presi il Napoli, si arricchiscono e ci insultano in romanesco. E noi diciamo “signor sì, padrone”.
Massimiliano Gallo