Come nel gioco del Master Mind, talvolta può capitare di aver individuato il colore ma non la posizione. Insomma, si può essere vicini alla verità (ammesso che esista, ma qui ci si spalancherebbero porte che non si chiuderebbero più) ma aver scambiato qualche tassello.E quindi facciamo un passo indietro, perché quel che è successo domenica sera al termine del match col Bologna è grave ed è doveroso cercare di fare luce sull’accaduto.
Ieri sera il sito della Gazzetta dello Sport ha rotto il muro d’omertà che di solito avvolge il circolo dei quotidiani e ha riportato una sorta di smentita del Calcio Napoli alla notizia (pubblicata prima da Fanpage e poi dal Napolista) di una lite tra Cavani e Inler. La smentita è questa, anodina anziché no: “Fonti interne al Napoli smentiscono che nell’intervallo o dopo la partita con il Bologna di domenica vi siano stati litigi tra Inler e Cavani, cosi’ come riportato da alcuni media. Le voci su un litigio fra i due si erano diffuse in citta’ sin da ieri. Qualcuno aveva anche parlato di un intervento pacificatore dell’allenatore Mazzarri negli spogliatoi. Oggi pero’, sia pure non in maniera ufficiale, il Napoli smentisce tali circostanze rilevando che si tratta di voci assolutamente infondate. Gazzetta dello Sport.”
Ieri mattina, tuttavia, un altro quotidiano, Tuttosport, ha pubblicato un’altra notizia mai smentita. E cioè che tra il primo e il secondo tempo del match col Bologna, quel buontempone di Edoardo De Laurentiis sarebbe sceso anzitempo negli spogliatoi e avrebbe scritto sulla lavagnetta di Frustalupi: “vergognatevi”.
Ecco, se shakerate le due notizie otterrete quella che i soliti beninformati dichiarano essere la versione più accreditata. E cioè che il figlio del presidente la scritta (che pare fosse un po’ più lunga, con un apprezzamento non proprio carino sulla squadra) sulla lavagnetta l’avrebbe lasciata a fine partita, che Cavani, entrando negli spogliatoi, non avrebbe propriamente gradito e che la lavagnetta – ormai volante – avrebbe sfiorato il malcapitato Mazzarri pur non essendo lui, ovviamente, il destinatario. E che Inler avrebbe provato, in modo robusto, a placare il Matador e avrebbe avuto con lui un confronto piuttosto acceso. Il condizionale è d’obbligo, ma il tam tam è accreditato.
Detto tra noi, sarebbe stata preferibile la prima versione. Un sano scazzo di spogliatoio tra due calciatori con l’allenatore che fa da paciere, alla vigilia di una batosta giudiziaria. Stando così le cose, invece, lo scenario cambia e, ancora una volta, i riflettori illuminano una gestione familiare e padronale del Calcio Napoli. Che, per carità, può essere digerita quando a comandare è il capo famiglia. Perché, tutto sommato, i modi sono quelli che sono, ma il volante in mano lo sa tenere. Se, però, finiamo nelle mani di giovanotti inesperti e magari desiderosi di essere all’altezza di un compito evidentemente non alla loro portata, allora lo scenario rischia di risultare tragicomico.
Il Napoli, si sa, non ha una struttura aziendale. Né mai l’avrà. Ha ben poco delle aziende propriamente dette. Anche quando un manager, o presunto tale, si è affacciato da queste parti, e sto parlando di Fassone, è stato relegato a fare da buttafuori per i giornalisti o a rincorrere il presidente quando questi abbandonava, smadonnando, il sorteggio dei calendari.
Chi ha lavorato con De Laurentiis spiega perfettamente come lavora il signor Aurelio. Per lui essere stipendiati non significa essere pagati per svolgere una mansione o ricoprire un incarico. No, per lui essere stipendiati vuol dire essere a disposizione. H 24.
Nessuno, fin qui, è riuscito a oscurare la sua stella. Solo Marino lo fece, agevolato dall’iniziale inesperienza di De Laurentiis, e comunque non a lungo. L’episodio dell’altra sera, però, getta ombre inquietanti sulla struttura societaria. Così come lascia smarriti il silenzio del presidente, fino a qualche mese fa logorroico e focoso, all’indomani della sentenza che ha tolto due punti al nostro Napoli. Non vorremmo che il Capo avesse perso la sua proverbiale carica energica e avesse imboccato la strada che già percorse Franco Sensi dopo i primi anni all’insegna della rivoluzione.
Concludendo: i figli so’ piezz’e core, e non si discute. Però il giocattolo è troppo delicato e prezioso per essere rovinato da mani inesperte desiderose di diventare adulte. Il sistema padre-padrone, che già non ci ha mai convinto, funziona se c’è un padre-padrone presente e che controlla la situazione. Altrimenti è la rovina. Massimiliano Gallo