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«Mio figlio gioca meglio di Cavani»

Si presentano lindi e pinti, ben pettinati e con i classici sorrisi di circostanza. Così come accade in ogni pre-partita. Nel tunnel, prima di entrare in campo, le effusioni sono frequenti tra calciatori. Le telecamere incombono ormai ovunque, anche negli armadietti e nei sanitari di qualsiasi spogliatoio, per cui è sempre meglio mostrarsi sorridenti e rilassati.Una pacca sulla spalla di Chiellini a Cavani, Nocerino che prende uno scappellotto da tutta la squadra avversaria e Buffon che alza il pollice e fa l’occhiolino pure agli inservienti. Tutti incipriati, profumati, dopo essersi sottoposti alla beautyfarm domenicale. I calciatori nell’aria di festa si preparano allo spettacolo. Nell’arena invece tutto è permesso. Giovinco e Insigne avevano scambiato le figurine nel sottopassaggio due minuti prima, eccoli invece ora che fanno i capricci con l’arbitro perché uno non vuole lasciare il pallone e far battere la punizione all’altro. Rossi e Ljajic si erano intrattenuti nello spogliatoio per pregare insieme e ora Delio preso da un raptus prende il cilicio e si sfrena sulle terga del povero serbo peccatore. Scambio di “complimenti” anche tra Chiellini e Cavani e Balotelli e Gascoigne.
Nell’arena invece si scatenano a volte i peggiori istinti. Ecco. Appunto.

Una domenica mattina di un paio di settimane fa.
Stamattina sono andato a trovare Antonello. Un amico che gestisce dei campi di calcetto e di tennis un paio di paesi più a Nord. Mi sono seduto al bar per sorseggiare il solito caffè da lui gentilmente offertomi, quando all’improvviso una fiumana di ragazzini urlanti è entrata violentemente dal cancello d’ingresso della struttura, per catapultarsi direttamente in uno dei campetti. “Sono i bambini che fanno scuola-calcio, la domenica mattina, figli di papà. A breve inizia lo spettacolo” mi ha chiarito Antonello. Ho ascoltato con curiosità. Sicuramente ci saranno stati bambini belli, bravi, allegri e curiosi, ma addirittura chiamarlo spettacolo mi è sembrato eccessivo. L’aria è mutata però all’istante. Un miscuglio di profumi pesantissimi e dopobarba appena applicati mi è penetrato nel naso. E una serie eccessiva e mielosa di complimenti reciproca è partita come un disco rotto alle mie spalle. Fortuna che non ho il diabete.
Si presentano lindi e pinti, ben pettinati e con i classici sorrisi di circostanza, dicevamo.
Mi sono voltato e ho visto una trentina di persone sorridenti e amichevoli che si intrattenevano in cerimoniosi discorsi. Le signore impernacchiate in improbabili cappotti, vista l’attuale temperatura (io ero ancora con una t-shirt) e i signori che somigliavano a manichini da vetrine vintage. Eleganti e precisi. Mi è sembrato l’incontro dei parenti ad un matrimonio.
“Uh Signova, come le sta bene questo nuovo colove, ma è mavvò? e che buona fvaganza! Mi deve as-so-lu-ta-men-te dave il numevo del suo estetista, uh”, “Ma che dice? Lei esagera. Ma piuttosto, dove ha comprato questi me-ra-vi-glio-si stivali? Gli ultimi che ho acquistato mi vanno un po’ stretti in punta e mio marito li ha pagati solo 450 euro” discorsi tra signore. “Oggi fa caldo, i ragazzi lo subiranno? Ieri al mio Andrea l’ho steso a letto un’ora prima perché deve riposare. L’ho visto stanco in settimana. Le ripetute l’hanno stancato. A proposito, il tuo Michele l’ho visto scattante l’ultima volta, e che tiro! Bravo”. E l’altro: “eheh, tuo suo padre. Alla sua età mi ispiravo a Dirceu. Ma comunque anche il tuo figliolo è un piccolo fenomeno”, discorsi dei signori uomini.
I genitori che accompagnano i loro bambini alla scuola-calcio.
Tra urla e festanti grida, si consumava a pochi metri da me, il pre-partita, il trionfo dell’ipocrisia.
Effettivamente, come aveva detto il buon Antonello, lo spettacolo ancora doveva iniziare.
“Sta cessa si permette pure ‘e parlà?!” uno degli invitati, ops, pardon, dei padri, è venuto al bar per un caffè e senza interlocutore, se non il soffitto o il frigorifero, ha iniziato il monologo in piena metamorfosi: “sta cessa, il figlio non sa giocare e vuole paragonarlo a Matteo (suo figlio) che è il più forte della provincia, tsè! Non capisce niente. È pure brutta. Lei e quel mezzo metro di marito. M’pare Rui Barros!”. Il tempo di inveire che subito di corsa ha lasciato le monete sul banco, oltre un profumo di borotalco e, nel vederlo sfrecciare, mi sono reso conto che la folla era sparita.
“Vieni con me. Ora inizia lo spettacolo. Mi raccomando, non ridere” Antonello che mi ha invitato a seguirlo.
L’allenamento dei giovani procedeva tranquillamente e sulle gradinate i genitori continuavano a complimentarsi reciprocamente tra discorsi su fard e pellicce e sui propri figlioli impegnati sul campetto n.3 della struttura. “Uh, suo figlio, se non evvo, ha la maglietta della Fevvavi, il mio ha quella, originale, del PzJe. Gliel’ha vegalata stesso Ezachiele, quello ovmai è amico di famiglia”. “Mio marito invece conosce il cugino del cognato della zia del nipote di Dalla Bona, stiamo aspettando le magliette originali di De Zerbi e Bucchi. Quelli ci hanno fatto salire in serie A. So’impottanti”. Clima disteso e sereno, quindi.
Poco dopo, tutto sarebbe cambiato. Si entra nell’arena.
Nella mia vita credo di aver assistito a qualcosa del genere solo quando, tanti anni fa, frequentavo una comitiva in cui c’era una ballerina.
Per cortesia, perché non potevo fare altrimenti, capitava spesso di dovermi sciroppare 2/3 ore di estenuante saggio. Roba che Cagliari -Atalanta è una finale di Champions a confronto.
E in una di quelle occasioni, mi capitò di assistere ad una prova pomeridiana pre-spettacolo. Erano presenti tutte le madri di queste gentili donzelle danzanti. Dai sorrisi e le cerimonie all’incontro sino ad una rissa senza esclusione di colpi, con tanto di entrate alla Montero, testate alla Zidane e simulazioni alla Pippo Inzaghi, nel giro di mezz’ora tra madri, ballerine, maestri e proprietari dei locali. Purtroppo solo una poteva essere la Miss protagonista, ed ogni madre era convinta, anzi, pretendeva che la propria figliola avesse lo scettro a scapito delle altre. Non si capacitavano che la prima ballerina fosse stata già scelta mesi prima e che nella danza l’esonero non esiste.
Nel nostro caso non si sono verificati tafferugli, per fortuna, ma la passione travolgente di questi genitori è sfociata in follia subito dopo il fischio d’inizio della partitina tra i vari bambini prima di chiudere l’allenamento. L’arena si è spostata però dal rettangolo verde alla gradinata. Una metamorfosi collettiva, anche i visi si sono imbruttiti ed è calato uno strano silenzio. La quiete prima della tempesta. Iniziata la partita, al primo fischio dell’arbitro-maestro, i primi mugugni. “Vabbuò, come al solito questo non capisce niente” questo signore, seduto accanto a me, mi ha guardato in cerca di conferma. Nemmeno il tempo di annuire che al secondo fischio, un “non era fallo!” si leva dall’alto della piccola gradinata. Un altro scontento. Gli equilibri hanno iniziato a scricchiolare quando uno dei piccoli ha preso la palla con le mani vicino(o dentro? Non saprei) l’area di rigore. L’arbitro ha però assegnato solo la punizione. Una signora corpulenta che fino a quel momento aveva solo fumato e parlato di diete e tisane con le altre madri, è schizzata aggrappandosi alla rete esterna che delimita il campo e ha urlato: “ma chist ‘over fa? È rigore, scemo, è rigore!”. Immediatamente è intervenuta un’altra signora poco distante che le ha risposto: “signò, il vizio non ve lo togliete mai, eh? Ogni volta dovete mettervi in mostra? Non è rigore e sedetevi, per cortesia!”. L’ansia è salita vertiginosamente e l’aria si è appesantita in un batter d’occhio. L’armonia, i convenevoli e i numeri dell’estetista, un lontano ricordo. La tensione si tagliava a fette e il signore alla mia destra che batteva il piede manco avesse dovuto togliersi un molare mi ha sussurrato: “Non sa fare né l’allenatore, né l’arbitro. Lei è un osservatore? Mio figlio Gianluca, lo vede, quello con la maglia di Cavani? Lo fanno giocare in porta, ma è più forte di Edinson alla sua età. Qui non capiscono niente. Comunque in settimana lo porto a fare un provino da un nipote di mio cugino. C’ha una squadretta e cercano giovani talenti. Che fa, viene a visionarlo? Le telefono”. E io: “beh, veramente sono qui di passaggio. Ho solo degli amici”. E ancora lui: “ oh, chiedo scusa, comunque se dovesse conoscere qualcuno, segnali questo nome Scapece Gianluca, classe 2003. Attaccante universale. Che, al caso, può adattarsi anche in porta”. E mi ha lasciato il suo bigliettino. Ho annuito sconcertato proprio mentre una delle poche signore che in apparenza mi sembrava più compita e calma, ha alzato il dito medio con annessa parolaccia verso il nostro angolo. La prima rete della giornata è stata siglata da Elisabetta. L’unica che davvero si distingue da tutti gli altri (a detta di Antonello). Mi rifiuto di riportare le risposte variopinte delle signore leggermente infastidite dal gestaccio. L’aria da derby del Cuore era completamente sparita e ormai era solo questione di tempo. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata quando un ragazzino microscopico, con la maglia di Cristiano Ronaldo che gli arrivava fin sotto i piedi, che sino a quel momento non aveva toccato palla, ad un calcio d’angolo da battere ha iniziato a piangere ed urlare: “papà, papà, voglio battere io. Tu mi hai detto a casa di prendere il pallone e di tirare tutte le punizioni”. “Ah, ecco, mo’ capisco tutto”, l’intervento di un altro non si è fatto attendere “ecco perché Salvatore non tira mai le punizioni, nonostante tiri più forte di Roberto Carlos. Qui ci sono figli e figliastri!”. “Le calcia meglio? Ma che dite. Mio figlio è il Pirlo della situazione e voi che litigate. Rocco, fai vedere a questi signori come si tira”, un altro padre. Il bimbo ingenuamente ha preso il pallone da mano al primo e questi ha iniziato un pianto antico durato penso sino a notte. In un attimo si è scatenato l’inferno. “Dite a vostro figlio di imparare l’educazione. Senza quella non diventerà mai un campione”. “Maleducato a chi? Ma come si permette? E poi, mio figlio è già un campione. Ha anche l’autografo di Varricchio, il suo coso ce l’ha?”. “Varricchio a me? Ma come ti permetti? Ringrazia che devo mantenere il cappotto di mia moglie!”. “Cavo, lascialo pevdeve a stu stvu.z, s’avvabbia solo pevchè suo figlio è una schiappa, mentve i nostvi son povtenti. Già ce li ha chiesti l’Aciveale. E tva l’altvo sua moglie feta (puzza)!”. “Mio figlio si ispira a me, che mi ispiravo a Dirceu. Per forza deve essere nato campione! Vostro figlio si ispira a vostro marito che si ispirava a Rui Barros, che pote mai fa’? E poi piano con le offese. Ringraziate che sono un signore”. “Voi non sapete con chi state parlando! Con il padre di Carrettella Giovanni. Prossimo centravanti del Napoli. Pagherete per venirlo a vedere! Esigo rispetto!”…

Credo che sia durato un’ora il post-partita, in cui gli allenatori, nonché i procuratori dei propri figli con la vitale collaborazione delle mogli manager, hanno dato luogo ad uno degli spettacoli più divertenti a cui ho avuto il piacere e la fortuna di partecipare. Si offendevano, si minacciavano, ma non si sfioravano. E la battuta più bella che poi non lo era nelle intenzioni è stata quella di Antonello a chiusura: “Li hai visti? Domenica mattina si presentano di nuovo qui come se niente fosse. Lindi, pinti e con i classici sorrisi di circostanza. Stessa scena, stesso spettacolo”. Come accade in serie A e nella sala prove delle ballerine. Fortuna che questi so’ signovi.

Gianluigi Trapani

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