Oj vita mia non si canta più. Non si deve più cantare. Il Napoli vince alla grande una partita importante, ma il nostro inno non può risuonare al San Paolo, non può accompagnare la gioia dei tifosi. No, basta con ‘O surdato ‘nnammurato (perché poi il titolo della canzone è questo, non me ne vogliano Carratelli e Ilaria). Perché basta con l’inno? Chiede qualcuno su Facebook. La risposta, assennata e molto cauta, arriva da Daniele Bellini, speaker dello stadio: “Ragazzi una frangia della tifoseria ripudia questa canzone che viene comunque suonata nelle partite di “cartello” (Juve, Milan e big europee). Non c’è una regola scritta ma più o meno è così…”.
Già, “una frangia” ha ripudiato una canzone che rappresenta Napoli da quasi un secolo. Una “frangia” ha ripudiato un canto che i tifosi intonano da quarant’anni.
Ho il sospetto che quella “frangia” sia la stessa che ha indotto De Laurentiis ad alimentare una polemica estiva apparentemente incomprensibile, quella sulla Supercoppa che non si doveva giocare a Pechino. Guarda caso, in città campeggiano ancora scritte sui muri che dicono: “No a Pechino, no al calcio in tv”.
Ho il sospetto che quella “frangia” abbia esposto striscioni offensivi contro lo stesso Bellini. A me lo speaker non piace, preferivo lo stile notarile di tanti anni fa alle urla di oggi. Però ogni insulto che arriva da quella “frangia” suona come una minaccia. E quando ho saputo che Bellini era entrato nel mirino della “frangia” ho immediatamente cambiato idea, ho cominciato a trovare simpatico Bellini. Da sempre preferisco i cantori ai necrofori.
Ho poi il sospetto che quella “frangia” sia la stessa che impedì a tanti tifosi perbene di comprare i biglietti per andare a vedere Chelsea-Napoli. Sotto gli occhi dei poliziotti, la “frangia” rivendicò una presunta “priorità d’acquisto” con insulti, spintoni, intimidazioni. Loro e solo loro dovevano andare a Londra, perché erano stati a Gela e quindi erano “veri tifosi”. Ottima argomentazione, non c’è che dire. Loro sono “a guardia di una fede” e quindi…
Qualcuno si è affrettato a spiegare che il nostro inno andrebbe cancellato perché è stato cantato dai tifosi avversari per sbeffeggiarci dopo alcune sconfitte. E questo sarebbe un buon motivo per non cantarlo? E allora se prendono in giro la maglia azzurra che facciamo, cominciamo a giocare con una casacca arancione? O preferite color porpora? Già, ma la “frangia” si è offesa. Si è pigliata collera. E quindi niente inno, altrimenti…
Se i prezzi dei biglietti di curva restano sempre abbordabili (mentre quelli degli altri settori crescono esageratamente) non sarà anche per tenere buona e calma la “frangia”?
Se in curva non si possono sventolare bandiere, non si possono intonare cori a favore dei singoli calciatori, non si possono agitare le sciarpe, non si possono esporre vessilli, non sarà perché la “frangia” non vuole? E che succede se qualcuno prova a infrangere questi comandamenti? Non è che per caso rischia di essere picchiato? (provate a leggere il commento n.87 a questo articolo di due anni fa. http://ilnapolista.it/?p=25655 )
Ma poi, scusate, chi sono questi della “frangia”? La scorsa settimana due gentiluomini sono stati condannati per “associazione a delinquere finalizzata alla commissione di una serie di reati in occasione di partite in Italia e all’estero”. In tutto, con rito abbreviato, hanno avuto tre anni e due mesi di reclusione. E ce ne sono altri nove ancora sotto giudizio, perché hanno scelto il rito ordinario. Questi due non saranno amici e colleghi della “frangia”?
E chi sono quelli che accoltellano i tifosi stranieri la sera prima delle partite? Appartengono o no alla “frangia”?
Allora, io credo che in questo caso la Società, intesa come De Laurentiis, possa fare molto poco. Sì, può segnalare, può raccontare, forse denunciare. Però scusate, cari questori, prefetti e ispettori vari, questi della “frangia” sono davvero così anonimi? E noi tifosi perbene, non potremmo cominciare almeno a fischiarli, questi misteriosissimi militanti della “frangia”? E magari cantare l’inno per conto nostro, “a cappella”, come si faceva una volta?
Giulio Spadetta