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Schwazer: «Voglio fare il preparatore atletico nel calcio. Sinner può difendersi, altri sono morti in silenzio»

A Repubblica: «Essere innocenti o no conta zero nello sport, c’è troppa politica. Il GF è stato un esperimento: volevo alzare il livello mediatico per partecipare alle Olimpiadi».

Schwazer: «Voglio fare il preparatore atletico nel calcio. Sinner può difendersi, altri sono morti in silenzio»
archivio Image / Sport / Alex Schwazer / foto Imago/Image

L’ex marciatore Alex Schwazer ha rilasciato un’intervista a Repubblica sulla sospensione per doping e il suo futuro, parlando anche di Jannik Sinner e il ricorso che sta affrontando.

Schwazer: «Voglio fare il preparatore atletico nel calcio»

«A Santo Stefano compirò 40 anni, ma è come se me ne sentissi 60 o 70. Ho visto e vissuto tutto quello che si può in una sola vita. Prima non avrei potuto mettere piede negli impianti senza incorrere in un’ulteriore squalifica».

Cosa farà da grande?

«Voglio entrare nel mondo del calcio. Sono stato un atleta individuale in uno sport di durata. Il calcio è uno sport di squadra giocato da singoli. Voglio diventare preparatore atletico e mettere la mia esperienza al servizio di un ambiente nuovo. Voglio uscire dai soliti schemi. Credo molto nell’interscambio di opinioni tra varie discipline. Se stai sempre nel tuo ambiente e vedi sempre le stesse cose non vai oltre. La mia strada è un’altra. Sento dentro di me una cosa che mi motiva fortemente, e quando è così io vado dritto. Donati è stato un precursore in quello che voglio fare io: ha allenato atleti di sport molto diversi. Questo sta avvenendo sempre più spesso: nel ciclismo, ad esempio, la Visma di Vingegaard ha preso l’allenatore del nuotatore Leon Marchand, la Red Bull di Roglic il mental coach di Verstappen».

La sua vita divisa a metà dal doping: la positività nel 2012, confessata in lacrime a Londra, e la seconda, contestata con tutte le forze che aveva in corpo, nel 2016. Qual è stato il punto più basso?

Schwazer: «Gli ultimi 8 anni sono stati molto difficili. Ma la mia vita è sempre stata caratterizzata da alti e bassi. A 18 anni ero già convinto di smettere perché mi squalificavano sempre per marcia scorretta. Lì stava per finire un sogno, quello di diventare un professionista dello sport. Avevo perso le speranze, una cosa che non mi è accaduta più in seguito. In poco tempo sono diventato un marciatore molto forte, è arrivato l’oro di Pechino nella 50 km. Poi c’è stato un susseguirsi di felicità e delusioni e sarà così sempre, evidentemente è questo il mio destino. Tra vittoria e sconfitta, nello sport e nella vita, c’è sempre una linea molto sottile».

La sua battaglia contro la Wada è durata anni: processi, sentenze, ricorsi. Alla fine il suo resterà uno dei grandi misteri dello sport…

«La Wada si è chiesta a un certo punto: ammettiamo che c’è stato un errore o restiamo sulla nostra linea? La manipolazione delle provette è un evento possibile, come abbiamo visto con i russi alle Olimpiadi invernali di Sochi 2014. E poi c’è gente che per la stessa sostanza prende un anno, due, otto o anche niente. La disparità è anche economica: il sistema costa troppo, non puoi difenderti. Una persona normale molla anche se non vorrebbe».

L’ex marciatore azzurro: «Sinner può difendersi, altri sono morti in silenzio»

Del caso Sinner che idea si è fatto?

«Il Clostebol è l’esempio classico di come le sanzioni non siano uguali per tutti. Sinner può permettersi di difendersi da solo, altri sono morti sportivamente in silenzio, condannati per la stessa sostanza e modalità assai simili. Jannik è certamente innocente e gli innocenti non devono mai prendere squalifiche: ma essere innocenti o no, a livello di giustizia sportiva e antidoping, conta zero. La politica è tutto, in questo mondo».

La Federtennis sta difendendo Sinner, cosa che la Fidal non fece nel suo caso…

«La Fidal è sempre restata in silenzio per tutelare il resto degli atleti. È una scelta: se alzi la voce possono esserci ritorsioni. E il motivo è sempre quello: c’è troppa politica nello sport».

Ha partecipato a due reality, Pechino Express e il Grande Fratello: cosa le hanno lasciato?

Schwazer: «Pechino Express è stata un’esperienza molto bella, un viaggio vero, pieno, dopo tanti viaggi fatti solo per sport. Al Grande Fratello avevo un obiettivo: volevo alzare il livello mediatico sulla richiesta di sospensione della squalifica per poter partecipare alle Olimpiadi di Parigi. Mi sono sempre allenato anche lì. L’ho vissuto come un esperimento».

Dove ha messo la medaglia d’oro di Pechino?

«L’ho tenuta in banca fino a poco tempo fa. Poi mia moglie mi ha convinto a prenderla: ora l’abbiamo incastonata nel tavolo della sala da pranzo. Guardarla mi emoziona e mi fa pensare alla montagna di lavoro che c’è stata dietro, agli allenamenti al gelo, alla voglia che avevo di arrivare. E ripenso anche a quando, da squalificato, dovevo allenarmi sulle piste ciclabili e cambiarmi in macchina. A Vipiteno, a -10°. È andata così».

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