È il manifesto dell’anti-retorica. La forza di Conte allenatore che non cerca mai di ingraziarsi la tifoseria e usa dal primo giorno il linguaggio della razionalità
“Le scorciatoie non esistono” è il manifesto dell’anti-retorica. Sembra assurdo, siamo in pieno Duemila eppure il luogo comune ha radici complesse da estirpare. Il Dna di un territorio è sempre lì. Del resto basta dare uno sguardo alla tanto acclamata Napoli turistica. Funziona, e va benissimo. Ma quel che Napoli ha messo in vendita è il luogo comune. Il folklore. Quello tira. Quello piace. Vengono a vedere la presunta diversità antropologica. Lla tradizione è un’altra cosa, c’è anche quella ma è un’altra cosa. Di un luogo comune finisci per prenderti tutto. E succede quindi che nell’anno 2024 debba essere un allenatore di calcio a pronunciare una frase che qui assume una sua centralità: “le scorciatoie non esistono”.
È dal primo giorno che Antonio Conte utilizza un lessico improntato al realismo e alla razionalità. Zero – dicasi zero – concessioni alla retorica e al populismo. Dal primo momento Conte parla di percorso, di lavoro, di tempo che occorre per costruire, anzi ricostruire. È un linguaggio studiato il suo. La prima persona plurale – il noi – lo usa anche per il decimo posto. Un linguaggio di ricostruzione che, possiamo dire, non ha raggiunto pienamente il suo scopo. Anche perché l’essere andato subito in testa ha stravolto gli umori della tifoseria. Le frasi di Conte sono state simultaneamente tradotte: “è il solito Conte che si nasconde, che piange, eppure il Napoli ha speso 150 milioni sul mercato”.
Frasi cui va aggiunta la più bella: “ha gli otto undicesimi della squadra dello scudetto”. A Napoli è avvenuto un fenomeno che in psicanalisi si chiama “rimozione”. La stagione scorsa è stata cancellata. Del decimo posto non v’è più traccia. Figurarsi di un gruppo in disgregazione che non riusciva a vincere una partita neanche a pagamento. Tutto è stato liquidato come si fa con le briciole su una tovaglia. Il lavoro, la-vo-ro, di mesi ridotto al nulla. Mortificante. Come se lo sport fosse una questione di meccanica, un puzzle. È tipico degli ambienti che non hanno dimestichezza con la vittoria. Se non sai perché hai vinto, è dura renderti conto della fatica che ci vuole.
Non dimentichiamo che il terzo scudetto è arrivato dopo la più feroce estate di contestazione nei confronti di De Laurentiis e del Calcio Napoli. A giugno avevano esposto uno striscione chiedendo che Spalletti se ne andasse. I tifosi erano indemoniati, Adl si era finalmente liberato di Insigne, Mertens, Koulibaly: la mobilia del sarrismo. Volevano il pappone a Bari. Nacque il nutritissimo movimento A16 (la Napoli-Bari). Lo stesso Spalletti, bravissimo a tenere la barra dritta in estate, dopo i primi due pareggi, alla vigilia di Lazio-Napoli, disse: “Volete che vi faccia il disegnino di chi è andato via e chi è arrivato?”. Non sappiamo perché i fan di Spalletti se la prendano se qualcuno fa notare che non è stato uno scudetto programmato. È così. Ciò non toglie un pelo alla grandiosità dell’impresa e del lavoro di Spalletti di cui non dimentichiamo (un esempio tra tanti) il pomeriggio in cui d’estate cacciò Osimhen dal campo per intemperanze. Spalletti è stato superlativo. Ma ad agosto nessuno se l’aspettava, nemmeno lui. E soprattutto è finita. Lo ha voluto anche lui. Giustamente, per tanti motivi. Ora allena la Nazionale, non pizze e fichi. Il dopo è un’altra storia. Il Milan di Capello non è il Milan di Sacchi. Di esempi ne potremmo fare a decine. Magari il Napoli riuscisse a vincere più scudetti vincendo ogni volta in maniera diversa. Speriamo che Napoli non debba necessariamente giocare un calcio territoriale (come la polemica di La Capria sugli scrittori napoletani).
Conte dal primo giorno parla di percorso perché sa cosa ci vuole per costruire un successo. Se il tecnico leccese ha una specializzazione, è proprio questa. È un allenatore post-trauma. Interviene sempre su squadre malandate. Ha vinto sempre così. Alla Juventus (dove soprattutto il primo anno compì un capolavoro). Al Chelsea. All’Inter. Dove è odiato (o schifato, come amano dire gli interisti) ma è stato lui a porre le basi di quella che è oggi la squadra nerazzurra. Non lo diciamo noi, lo ha recentemente dichiarato un certo Barella.
Conte ha capito tutto. La frase di ieri sui palati fini è poesia. Sa benissimo dov’è finito. Sono bastate due sconfitte di fila (una inutile in Coppa Italia) per creare un clima assurdo nonostante il secondo posto in classifica. A Conte va riconosciuto non solo lo straordinario lavoro di questi mesi. Un lavoro da dieci in pagella. Ma gli va altresì riconosciuto un atteggiamento che mai nessuno prima di lui aveva avuto: tratta Napoli e la sua tifoseria da adulti. Non cerca – appunto – scorciatoie populistiche. «Le scorciatoie non esistono». Né in campo né fuori. Forse – vedremo, dipenderà dai risultati – l’ambiente non si innamorerà di lui (porta anche lo stigma juventino, figurarsi). Può essere un bene. Un rapporto adulto non fa male a questo ambiente. Napoli forse non si innamorò di Allodi eppure fu lui a costruire quella squadra e quello scudetto. Di retorica ne abbiamo a pacchi, siamo coperti fino al tremila. Ben venga un rapporto che qualcuno, superficialmente, potrebbe definire anaffettivo. In realtà è un rapporto professionale. Per raggiungere l’obiettivo c’è un percorso da compiere, c’è un lavoro da fare. Maradona, che sia chiaro, si allenava. Lavorava. Altrimenti il pallone non l’avrebbe mai visto. Il resto è narrazione che piace alle orecchie di chi mette in vetrina il luogo comune.