Pare che a Napoli possa esistere un solo modo di giocare a calcio. Diceva La Capria: ma di Calvino si dice scrittore ligure?
Conte è stato scritto da La Capria: il suo “poetico litigio” con Napoli
Più o meno di questi tempi, ventuno anni fa, Raffaele La Capria tenne una conferenza alla Sorbonne. Il monologo è diventato celebre come “Introduzione a me stesso”, un intero brano in cui La Capria fa i conti con la sua eredità letteraria e allo stesso tempo, come in ogni sua opera, con Napoli e la napoletanità.
È, per usare le sue parole, “il poetico litigio” con la città ad aver alimentato la produzione letteraria di La Capria, da Ferito a morte fino alla saggistica.
Antonio Conte non è ancora arrivato al poetico litigio con Napoli, eppure dopo le sconfitte con la Lazio di giovedì e domenica sera la sua personale e intima luna di miele con i napoletani sembra agli sgoccioli. Avevamo sottovalutato l’onda di rigetto nei confronti dell’allenatore?
Nonostante il secondo posto in classifica, una parte cospicua della tifoseria non accetta il gioco del Napoli, il modo in cui la squadra sta in campo per ottenere il risultato. Lo sente distante, alieno.
Certo per una città che ha visto la cosiddetta “Grande Bellezza” del Napoli allenato da Spalletti, vincente proprio per brillantezza e armonia, non deve essere facile fare i conti con la realtà. Con il Napoli neorealista di Conte. “Godetevi questa minestra” sembra comunicare l’allenatore con la gestione tattica delle partite. Il Napoli difende basso, è vero, ma non subisce quasi nulla. Crea poco, pochissimo. È una squadra stitica. Eppure anche contro la Lazio, secondo le statistiche, è stata più pericolosa, ha rischiato meno. Ha avuto un approccio tutto sommato discreto alla partita, salvo poi ingrigirsi con il passare dei minuti.
Il Napoli ha un problema con il centravanti: Lukaku non è più quello del 2019, ha 31 anni, è consumato fisicamente e forse, in parte, anche mentalmente viste le ultime stagioni della sua carriera. La rosa è corta. I problemi sono tanti ed è paradossale ricordarlo, ma c’è solo una persona finora che li ha mascherati: è di Lecce e ogni domenica si siede in panchina. Anche se gli si può essere imputata una gestione tardiva dei cambi o il minutaggio ridicolo offerto a David Neres.
Antonio Conte è la garanzia del Napoli, ma il clima in città non è tutto dalla sua parte. Molti, dopo il decimo posto, si sono radicalizzati sulla nostalgia per il Napoli dello scudetto. Pensano che gli otto-undicesimi della stagione 2022/23 siano tenuti a ripetere lo stesso rendimento. Non è così: lo hanno dimostrato per 50 partite lo scorso anno e in parte anche a Verona ad agosto.
È come se Napoli avesse coniato un modo di giocare a calcio personale. La Capria continuava la sua conferenza ricordando che poiché uno scrittore nasce a Napoli, automaticamente è considerato uno scrittore napoletano: «Se si parla di Calvino non si aggiunge subito “scrittore ligure”. Se si parla di Moravia, non si aggiunge subito “scrittore romano”».
Anche in ambito calcistico sembra in atto un processo di identificazione simile. Napoli chiede uno stile di gioco suo. Stiamo chiedendo sempre di più agli allenatori di diventare napoletani? O, meglio, di giocare un calcio napoletano – cioè spettacolare e offensivo anche quando i risultati dicono che con lo stile di gioco attuale le cose stanno funzionando? In tal caso, abbiamo un problema: se una cosa abbiamo imparato da Antonio Conte è che mentre fuori tutto cambia la sua mentalità rimane la stessa. Napoli è disposta ad accettarlo?