Quanta differenza con La Stampa attenta a ovattare. Il nuovo direttore è grande amico di Allegri vittima di una damnatio memoriae
La Repubblica allegriana di Orfeo perfida con Thiago Motta e titola: “cortissimo muso”.
Vale più direttore amico o un editore nemico? Se l’editore è in uscita, vale più il direttore. E Repubblica di oggi ne è una dimostrazione. Il quotidiano è sì di proprietà di John Elkann (in uscita, ribadiamo) ma il nuovo direttore – Mario Orfeo – è amico strettissimo di Massimiliano Allegri. Non a caso è abissale la distanza di oggi tra i resoconti e i titoli di Repubblica e quelli de La Stampa (giornale ovviamente di proprietà di Elkann). La Stampa non cita mai l’ingombrante ex e addirittura previene le critiche con un editoriale in cui scrive:
indugiare sulle sofferenze non renderebbe giustizia all’importanza del traguardo volante tagliato: giusto rammentare che
la squadra è ricostruita e svecchiata, all’alba d’un ciclo nuovo e, nella circostanza, spogliata dagli infortuni.
Ma qualche accenno critico non manca nemmeno sul giornale torinese:
è opportuno semmai ricavare una lezione: l’estetica è un valore e la priorità assegnata al gioco da Thiago Motta apprezzabile, ma il caro, vecchio risultato rimane prezioso, specie in attesa che l’intesa sbocci e le idee tattiche attecchiscano, perché senza la sfortunata deviazione dello spagnolo non ci sarebbe sorriso, nonostante il possesso largo e qualche ricamo piacevole.
La versione di Repubblica
È comunque evidente la differenza con articolo e titolazione di Repubblica (improntati a un sano nonché realistico spirito critico):
Titolo: Cortissimo muso
Catenaccio: Un uomo in più e un’autorete la Juve batte la Lazio a fatica Motta per una notte è in testa
Ecco l’attacco di Emanuele Gamba uno dei pochissimi giornalisti che non ha smarrito il buon senso nella nuova gestione di Motta che gode di una rappresentazione mediatica orwelliana.
Scrive Repubblica:
La Juve ha di nuovo messo il muso davanti, quel muso corto che resiste incallito alla lontananza di chi lo aveva teorizzato: gioca così così, in un modo o nell’altro non riesce a far giocare gli altri e poi pesca il jolly, nella fattispecie l’autogol dirimente a un soffio della fine dopo tre quarti di partita con un uomo in più, perché Romagnoli era stato espulso alla moviola (in diretta Sacchi non aveva visto neanche il fallo: male) per uno sgambetto su Kalulu lanciato a rete. È stato l’unico momento di thiagomottismo puro di un primo tempo stantìo come quasi sempre allo Stadium, perlomeno in campionato (dove i bianconeri non vincevano da agosto). Nella circostanza, il francese ha avviato l’azione e poi è andata a chiuderla, ricevendo un lancio di Vlahovic e disorientando Gila, Isaksen e appunto Romagnoli, sorpresi da quel movimento che le squadre di Motta hanno (e bisognerebbe saperlo).
Mario Orfeo, un allegriano a dirigere la Repubblica di Elkann (Il Napolista)
Nel fantastico mondo elkaniano (una enne) succede qualcosa di inaspettato. Cambio di direzione a Repubblica un tempo giornale di riferimento del progressismo italiano. Esce Maurizio Molinari mai gradito al vecchio carrozzone di Rep, entra Mario Orfeo. Quest’ultimo è assai noto al grande pubblico del giornalismo. Cresciuto al Giornale di Napoli, poi passò a Repubblica Napoli. Si è sempre vantato di essere uno dei fondatori del giornale di Largo Fochetti. Seguiva il calcio, poi colonna dell’ufficio centrale (la spina dorsale di un giornale). Il classico “culo di pietra”. È uno dei pochi in grado di fare il giornale da solo, come si ama dire in ambienti giornalistici. Ezio Mauro ne ha sempre apprezzato le doti organizzative e poi ne lodava un aspetto: “Alle sei del mattino ha già letto tutto e sa dove è indirizzata la giornata”.
Da Repubblica spicca il volo, passa a viale Mazzini. Dove riesce nell’impresa – unico nella storia – di dirigere tutti e tre i telegiornali e persino di ricoprire la carica di direttore generale della Rai tendenza Renzi. È stato anche direttore del Mattino e del Messaggero, molto apprezzato dal patron Caltagirone. Dettaglio quest’ultimo di non poco conto.
Da classico meridionale che sbarca a Roma, si lascia sedurre dal capitalismo di relazione. Non c’è evento a cui non prenda parte. Appassionato di calcio (qui arriva il bello) e tifosissimo del Milan, diventa amico, grande amico, di Massimiliano Allegri. I due si iniziano a frequentare ai tempi in cui Max guida la squadra rossonera. Mario è affascinato dalla livornesità allegriana, diviene così il suo talismano al punto da seguirlo allo Stadium nella lunga esperienza di Allegri alla Continassa. Guai a dirgli che ha tradito la fede milanista, reagisce citando Albino Buticchi presidente rossonero dei primi anni Settanta. Ciò non toglie che indossi i panni dell’interprete dell’allegrismo, raccontano che sia stato lui a far conoscere Ambra e Max. Insomma, Mario è un “bianconero” (tra virgolette) di rito allegriano. Ecco, lo sanno in casa Elkann?