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Retegui: «Spalletti ha il sangue caldo come me, ha la vittoria in testa. Mi aspettavo la chiamata di Scaloni»

A Sportweek: «Invece a telefonarmi è stato Mancini e non ci ho pensato un attimo, gli ho detto subito sì»

Retegui: «Spalletti ha il sangue caldo come me, ha la vittoria in testa. Mi aspettavo la chiamata di Scaloni»
Italy's forward Mateo Retegui reacts during the UEFA Euro 2024 Group C qualification match between Italy and England, on March 23, 2023 at the Diego-Maradona stadium in Naples. (Photo by Alberto PIZZOLI / AFP)

Retegui è stato intervistato da “Sportweek” a cui ha raccontato dell’arrivo in Nazionale. All’attaccante degli Azzurri non è mancata quella che ormai è diventata una domanda di rito.

Mateo, tu giochi alla Playstation?
«No, non gioco (ride furbo). Ho sentito quello ha detto mister Spalletti (a proposito dell’abitudine dei giocatori di far tardi la sera davanti ai videogiochi) e, come dice mio padre, le parole di un allenatore sono sacre».

In Argentina hai giocato nel Boca.
«Poco».

… però ci hai giocato. Saprai che nel quar-tiere La Boca, a Buenos Aires, vivono tantissimi discendenti di immigrati italiani, liguri soprattutto. Era destino che tu ve-nissi in Italia, e proprio nel Genoa?
«Io penso che tutto quello che ci succede sia frutto del destino. Per esempio, la mia prima partita in Nazionale l’ho giocata al Diego Armando Maradona di Napoli, e tutti sapete cosa significhi Maradona per noi argentini. Ho esordito e ho pure segnato, a un avversario forte come l’Inghilterra. Se non è destino questo… La mia storia è tutto un incastro di coincidenze, come se qualcuno l’avesse scritta per me».

Cosa ti disse il c.t. Mancini la prima volta che te lo sei trovato davanti?
«Arrivai a mezzanotte e lui mi stava aspettando. “Lo sai perché sei qui?”. “Per giocare”. “Per giocare, sì, ma soprattutto per fare gol”. “Perfetto, io vivo per quello”. Con Inghilterra e Malta mi ha dato fiducia, e io l’ho ripagato con due gol».

Spalletti, invece, cosa ti chiede?
«Ha una personalità fortissima, ha il sangue caldo come me. Siamo due competitivi che hanno la vittoria in testa. Rispetto a lui, Mancini era un po’ più tranquillo. Con un nuovo tecnico aumenta la competizione tra i giocatori».

Nella tournée americana della Nazionale fai doppietta al Venezuela e tutti i giornali scrivono che l’Italia ha trovato il centravanti per l’Europeo. Poi Scamacca inizia a segnare a sua volta e ora vi giocate la maglia di centravanti della Nazionale.
«lo so di dover restare tranquillo, tenere i piedi a terra e lavorare, perché sono molto esigente con me stesso e posso migliorare in tutto. Scamacca ha grandissime qualità per giocare insieme anche ad altri attaccanti, ma non mi piace fare paragoni tra me e lui».

Retegui: «Mi aspettavo la chiamata di Scaloni, ma quando è stato Mancini a telefonarmi non ci ho pensato un attimo e ho detto sì»

Sincero: ti avesse chiamato Scaloni, c.t. dell’Argentina, gli avresti detto sì?
«Non posso rispondere, perché non mi ha mai chiamato. Pensavo sinceramente lo facesse, perché in Argentina avevo segnato tanto, invece a telefonarmi è stato Mancini e non ci ho pensato un attimo, gli ho detto subito sì. Ho preso il primo aereo e mi sono presentato».

In che modo ti hanno aiutato i tuoi?
«Il calcio è un mondo molto difficile: un giorno sei molto in alto (solleva la mano oltre la testa). l’altro sprofondi (l’abbassa fin quasi a terra). Le persone che hai intorno, quelle che compongono la tua famiglia, diventano molto importanti. In Argentina ho giocato in quattro squadre: nel Boca, il club più importante ma con cui sono sceso in campo solo una volta; nell’Estudiantes e poi nel Talleres e nel Tigre. In qualcuna di queste squadre non è andata bene, e in questi casi l’aiuto della famiglia è stato fondamentale perché non sbandassi e continuassi invece a camminare a testa alta. Così a Genova: appena arrivato tutto era molto bello, perché giocavo e facevo gol. Poi sono arrivati due infortuni al ginocchio che mi hanno fatto male anche nella testa. I miei sono arrivati in Italia per starmi vicino: avevo paura e loro mi coccolavano e parlavano tanto. “Dai, Mateo, ce la fai, tu puoi”, ripetevano. Non smetterò di ringraziarli».

 

 

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