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A Gasperini è rimasta solo una finale per non trasformarsi da genio a perdente di lusso

Ha perso 4 finali su 4: due contro Allegri. È brutale ma gli resta quella più difficile in Europa League per non cadere nell’incubo dello “zeru tituli”

A Gasperini è rimasta solo una finale per non trasformarsi da genio a perdente di lusso
Db Bergamo 24/04/2024 - Coppa Italia / Atalanta-Fiorentina / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Giampiero Gasperini

A Gasperini è rimasta solo una finale per non trasformarsi da genio a perdente di lusso

Vincere è diventata un’attività residuale, una perversione da feticisti anche un po’ antiquati. Nel frattempo c’è un allenatore terribilmente bravo cui adesso tocca – ma non lo ammetterà mai – una graticola che appena poche ore fa non s’appettava: passare da genio a perdente di lusso o viceversa, in novanta maledetti minuti più recupero. E chi glielo dice adesso a Gian Piero Gasperini che c’è gente qua fuori, nel mondo brutto e cattivo dell’agonismo, che ha già cominciato – bastardi! – a contare quante finali ha perso in carriera? E, per contrappasso, quanti titoli ha portato a casa. Spoiler: “zeru”, direbbe l’innominabile.

Gasperini ha perso finora quattro finali: tre di Coppa Italia contro Inzaghi, Pirlo e Allegri, e una (per quel che vale) Supercoppa Italiana, pure quella contro Allegri. Era il 6 agosto 2011, un derby di Milano, gol di Ibrahimovic e Boateng a ribaltare il vantaggio di Sneijder. Gasperini ci ha messo anni a riabilitarsi da quella sfortunata parentesi interista. Ma tant’è. Si va per accumulo statistico, sono tutte epoche diverse, contesti poco paragonabili, e qui nessuno osa mettere in discussione il valore sportivo – e finanziario – del percorso di Gasperini con l’Atalanta. Figurarsi.

Però poi, mentre Allegri confezionava una golosissima crisi isterica, Gasperini si mimetizzava dietro la solita barricata retorica del “sono tutte finali”. Che è un concetto imbattibile, uno scudo un po’ perverso: poiché consideri finali tutte le partite che giochi, se ne perdi una che fa? Ne avrai già vinte altre dieci, no? Embé: no. Non tutte le partite hanno lo stesso peso, come nel tennis va fatta la tara ai punti. È un po’ – meno estremo, ne conveniamo – come quando la Fiorentina perde malissimo un confronto ad eliminazione diretta e Italiano detta in conferenza stampa: “Non dobbiamo pensare al risultato”. Ah no? Quanto abbiamo malinterpretato noi il verbo “competere” fino ad oggi.

Gasperini, che nell’ultimo mese ha raccolto più articoli celebrativi all’estero di un Nobel per la pace, si trova adesso ad un bivio, un incrocio pericoloso: gli resta la finale di Europa League con l’imbattuto Bayern Leverkusen per smentire tutti, e scavallare definitivamente. Sarebbe il primo trofeo, peraltro contro Xabi Alonso, il nuovo messia del calcio europeo. Come dicono gli americani infoiati: when in trouble, go big. Solo che oltre c’è il precipizio: al netto di tutti gli alibi del caso (giochi coi campioni della Bundesliga, mica con la Salernitana…), se Gasperini perde un’altra finale resta col famigerato cerino in mano. Siamo in un’epoca brutale, glielo faranno pesare eccome.

Le etichette sono lì, pronte ad appiccicarsi alla vita. Gasperini è un tecnico a la coque, in questo momento: ottimo, ma a mezza cottura, con una fama barcollante tra il prodigio e la casumanitudine sportiva. Non c’è bisogno di citare Arbasino, basta il Marsellus Wallace di Pulp Fiction: se l’Atalanta non vince la prossima finale Gasperini rischia di diventare quello che “era quasi arrivato ma non ce l’ha mai fatta, e se doveva farcela ce l’avrebbe già fatta”. Hai voglia, poi, a raccontare che “sono tutte finali”, se le finali le perdi tutte.

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