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Gigi Riva non era un attaccante, era l’attacco (Beccantini)

Sul Fatto. Orfano, disse a Gianni Mura: «Dedico il gol alla Sardegna o all’Italia? Io non ho nessuno a cui dedicare nulla. Segno per dovere»

Gigi Riva non era un attaccante, era l’attacco (Beccantini)
Italian football legend Gigi Riva shows the Cagliari's shirt, before the friendly football match Italy/Russia at Sant Elia stadium in Cagliari, 09 February 2005. Gigi Riva is the Azzurri's record goalscorer and considered by many to be the country's best ever striker. AFP PHOTO/ Carlo BARONCINI (Photo by CARLO BARONCINI / AFP)

Gigi Riva non era un attaccante, era l’attacco. Lo scrive Roberto Beccantini per il Fatto quotidiano.

Tre volte capocannoniere, in Serie A ne firmò 156, e chissà quanti sarebbero stati se solo avesse potuto contare sul liberismo normativo della sbronza moderna: dal mani-comio al fuori-giochicidio, dagli autogol strozzati in culla al potere rubato ai difensori e venduto ai cacciatori, di frodo e non.

Portava il numero undici, mancino fino al midollo, Gianni Brera lo ribattezzò “Rombo di Tuono”. Per come tirava, per come riempiva la ciccia delle partite. Non un lampo: un tuono. Definirlo attaccante è riduttivo. Riva era l’attacco. Lo copriva tutto, per tutti.

Orfano di papà Ugo a nove anni e di mamma Edis quando sbarcò a Cagliari: “Cosa vuoi che ti dica? Che dedico il gol alla Sardegna o all’italia se gioco in Nazionale? Ma non facciamo ridere: io non ho nessuno a cui dedicare nulla. Segno per dovere”, confessò a Gianni Mura.

Gigi Riva e la lite con Gina Lollobrigida

La morte di Gigi Riva. Su Repubblica ne scrive anche Emanuela Audisio.

Gigi era stato in collegio dai preti e non gli era piaciuto per niente, visto il numero delle fughe. Franco Zeffirelli, che lo adorava, lo voleva attore in un suo film e per questo disse a Gina Lollobrigida di accompagnarlo con la sua Rolls-Royce allo stadio a Firenze dove Riva giocava e dove i due non arrivarono mai perché ebbero una lite in auto che causò un incidente. Se glielo ricordavi Gigi ridacchiava. Era schivo, avrebbe potuto intrattenere tutte le platee del mondo perché di cose da raccontare ne aveva, ma preferiva stare da un lato. Non faceva mai ombra a nessuno, ma la spalla su cui piangere a Pasadena quando il Brasile tolse il mondo all’Italia era la sua. Lui c’era, quando serviva, nei momenti più difficili, non dovevi nemmeno cercarlo, infatti Baggio si aggrappò a lui. Era lo scoglio in mezzo al mare, anche le nuove generazioni, quelli che non avevano patito la fame come lui, gli riconoscevano una forza superiore. 

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