I superpoteri dello scudetto stanno svanendo e si aggrappa al populismo becero. Siamo tornati all’“a testa alta”, segnale preoccupante
Imbarazzante l’intervento in prime time del presidente De Laurentiis, prima di Real Madrid Napoli. Il presidente utilizza lo stesso linguaggio politico di chi vive in un’altra dimensione. Gli astanti lo assecondano imbarazzati. Non è tanto la scivolata su Manfredi “attanagliato” dal Consiglio Comunale, ma utilizza uno strumento molto più violento e denigratorio. Non ci sono stelle gialle sui cappotti, ma a Napoli per screditare e indicare un nemico gli si da dello “juventino”. Giochino che ha presa sul popolino, ma non solo. “Accuse” mosse dal presidente che danno anche la dimensione della considerazione da cani di Pavlov che De Laurentiis ha dei napoletani. Quello che potrebbe sembrare uno sfottò goliardico, a Napoli prende contorni sinistri in qualche modo, con buona pace alla tolleranza e alla sportività. Pietosa ancorché triste la replica del consigliere Nino Simeone, che “risponde” al presidente non entrando nel merito della questione stadio (non sia mai), ma si limita a mostrare una maglia del Napoli originale, ancora con il cartellino, per smarcarsi dalle accuse “infamanti” del presidente De Laurentiis.
Napoli è una città che vive di questo. L’opinione pubblica non esiste, non è mai esistita. Si danza sull’agone che copre la tomba della società civile, intonando “chi si ttù e chi song io”. Con buona pace del vivere civile. È evidente che il dibattito che tira sia questo. De Laurentiis sposta abilmente l’attenzione da una squadra che subisce gli errori e dal pressapochismo della propria incompetenza calcistica. Presentare ai nastri di partenza una formazione con calciatori che hanno avuto il loro picco lo scorso campionato, di cui tanti a fine ciclo con il Napoli (Rrahmani, Anguissa, Di Lorenzo, Zielinski, Mario Rui, Meret, Juan Jesus) è un progetto di “decrescita felice” di grillina matrice, piuttosto che una squadra solida ed affidabile per difendere onorevolmente lo scudetto conquistato.
Purtroppo continua anche l’encefalogramma piatto nella narrazione della squadra. Davvero poteva essere sufficiente Mazzarri, con la stantia allure che lo accompagna, per rilanciare seriamente il Napoli? Parole e risultati del campo non sempre sono consonanti. Bergamo è stato un episodio felice. Madrid ha riportato a terra la sognante tifoseria napoletana che non riesce fare i conti con la realtà, sono tornate di moda “le sconfitte a testa alta”. Due partite sono poche per giudicare il “traghettatore” Mazzarri. La realtà dice che scaricare le colpe sul modesto Garcia non è la panacea di tutti i mali. Aggiusta la situazione momentaneamente ma a lungo andare Natan rimane Natan e Juan Jesus rimane Juan Jesus. E Kvara non sembra quello dei giorni migliori. Non ci sono uomini in grado di andare oltre se stessi. Almeno non ci sono più.
La narrazione del focolare dell’unità ritrovata, insomma dei buoni sentimenti, non ha mai fatto bene al Napoli. Ricordiamo con terrore i giorni in cui Rino Gattuso sedeva sulla panchina del Napoli. I buoni sentimenti nel calcio non hanno mai portato punti. I risultati migliori, anche in epoca pre-aureliana sono arrivati se accompagnati da scetticismo, critiche, insulti e defenestrazioni di calciatori. L’esonero di Garcia e l’arrivo di Mazzarri hanno costretto gli operatori del settore a rispolverare vecchie foto e vecchie narrazioni di un calcio e di calciatori superati dal tempo e dalle circostanze.
Ma il problema del Napoli non è quello. Il problema è il sindaco juventino.