Al Napoli manca la capacità di vincere senza grazie e bellezza. Garcia vorrebbe gridarlo. È bello vincere soffrendo
Il calcio non è Instagram, non vince chi ha più like. Il calcio è come la vita
La vita non è Instagram. Il calcio non è Instagram. Il calcio è una rappresentazione plastica della vita, per questo è lo sport del mondo. Il calcio è antropologia. Il calcio racconta molto dei popoli, molto più di quanto si possa immaginare. Ma da un po’ di tempo a questa parte si vuole piegare questo sport, che muove sentimenti e frustrazioni, alla bellezza fine a se stessa che viene proposta sui social. Fisici perfetti, piatti perfetti, vacanze perfette, poi magari nella realtà ecco le maniglie dell’amore, lo spaghetto sciapo e la vacanza sponsorizzata da Fiditalia.
Se non si è fighi e belli come il City di Guardiola, non si è. Se Cassano non ti mette nell’Olimpo non esisti. Ma questa non è la vita. La è “l’aleph”, alla Juve. La vita è la mano de Dios.
Incredibile come il calcio di Diego sia cosi vicino alla vita vera, fatta di furbizia e piccole miserie, ricordando sempre che “la pelota no se mancha”.
La Juventus che vince con mezzo tiro in porta giocando 89 minuti ad altissima intensità nella propria metà campo è una lezione di vita. La partita della Juventus è la dimostrazione plastica che gli scudetti con sedici punti di vantaggio si vincono una volta ogni trentatré anni. Le vittorie non straordinarie, ma ordinarie, che fanno tanto albo d’oro, vivaddio si realizzano di corto muso, con la porta semi-immacolata e mezzo tiro in porta, con buona pace di Zeman, Sarri, Guardiola e tutto il cucuzzaro.
La tifoseria napoletana, deviata dal sarrismo ideologico, si schiera compatta contro questo modo di vedere il calcio sia per costituzione di Dna sportivo, che per confessione religiosa: anti-juventinismo a prescindere. I battibecchi odierni, tra giochisti e resultadisti, sono gli stessi che giacciono sotto tre dita di polvere tra Gianni Brera e Gino Palumbo quasi sessant’anni fa. All’epoca un filo di cultura in più e molta meno voglia di prendersi sul serio, oggi c’è Lele Adani che senza dire nulla di realmente concreto salmodia i suoi adepti. Vendendo il nulla. Tanta filosofia non fa tre punti.
Manca questo al Napoli per diventare una squadra completa. La capacità di vincere anche in assenza di grazie e bellezza. La capacità di fare in serie brutte partite, non prendere gol e vincere. L’andata con l’Union Berlino si è concretizzata sui binari della sostanza. Garcia ha tra il serio ed il faceto ha fatto sommessamente notare che si può giocare anche in maniera diversa, nonostante il mantra presidenziale. Garcia ha fatto tanti errori, ma su questo dice una cosa sacrosanta, ma non viene ascoltato. Finché avrà tra i piedi mattina e sera il monolite Aurelio, indipendentemente dall’influenza esercitata, sarà complicato davvero impartire dei concetti diversi per aggiungere un pezzo a questo Napoli. Il presidente lo ha ripescato dall’oblio, ne ha svuotato la credibilità, ed a questo punto per lui diventa difficile affermare dei concetti differenti dal bello. Che poi alla fine è bello vincere attraverso la sofferenza, perché la vita è una guerra, e questo lo sanno sia Victor che Giacomino.
Venio Vanni
ilnapolista © riproduzione riservata