Il reportage di Relevo: «Un ragazzo normale che ha raggiunto qualcosa di straordinario», dice il sindaco. Vorrebbero intitolargli lo stadio
Relevo ha trascorso due giorni a Reggiolo, a pochi chilometri da Parma, nella città natale di Carlo Ancelotti:
“Ancelotti sorride quando sente parlare della sua nativa Reggiolo, un paese di novemila abitanti situato in Emilia Romagna. Dante Musi, abitante del paese e consulente fiscale, apre le porte dell’oratorio di Reggiolo racconta: «Mi piace ricordare che prima di conquistare il mondo, era qui a giocare, in via Matteotti 96, lontano dalla sua casa di campagna».
La sorella Angela ricorda:
«L’atmosfera che ricordo è quella della classica casa in campagna. Non c’era tv o bagno, ma abbiamo avuto la luce. Stiamo parlando del dopoguerra. Anni difficili. È vero che non avevamo bisogno di nulla, ma eravamo poveri. Ricordo che mio fratello ha iniziato a giocare quando aveva sei anni. Ci ha sempre dato molte soddisfazioni. Mia madre era sempre un po’ in disparte, ma papà Giuseppe era il suo primo tifoso».
Fausto Mazza, amico d’infanzia di Ancelotti: «Ho suonato con Carlo nell’oratorio. Poi siamo andati allo Stadio Comunale per il Reggiolo Calcio. Avevamo 14 anni. Da allora in poi non ha smesso più di crescere. Nella nostra squadra il migliore era un attaccante. Venivano allo stadio per lui, ma poiché avevano bisogno anche di una mezz’ala hanno preso Ancelotti. Entrambi hanno giocato molto bene nelle giovanili del club parmense. Poi la prima squadra era in Serie C e Carlo fu fortunato perché due che giocavano nella sua posizione si infortunarono e debuttò in prima squadra l’anno successivo. Ha giocato molto bene e sono passati in Serie B dopo aver vinto uno spareggio contro la Triestina. Carlo ha segnato due gol».
«Rappresenta l’eccellenza e un carattere unico per la nostra comunità. È la persona più importante di Reggiolo. Un onore per noi» spiega il sindaco. Vorrebbero cambiare il nome dello stadio e chiamarlo Carlo Ancelotti. Gaetano Parenti, suo ex compagno di squadra, racconta: «Ha sempre avuto prestazioni buone e costanti, ma non era un fuoriclasse. Nella vita, stiamo parlando di un ragazzo normale che ha raggiunto qualcosa di straordinario. È difficile parlare di lui, perché apparentemente non c’è nulla di singolare in lui. C’è la grandezza, in quella sua tranquillità e semplicità. Come allenatore e giocatore ha fatto della normalità un dogma, un’arte. È difficile per una persona così fare cose meravigliose, ma Carlo ci è riuscito»”.