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Il Napoli post-scudetto è come “Don’t look up”, la città ha voluto chiudere gli occhi

Il progetto aureliano di “de-toscanizzare il Napoli” non funziona. Non ha senso attaccare Garcia, non è lui il responsabile

Il Napoli post-scudetto è come “Don’t look up”, la città ha voluto chiudere gli occhi

“Il Napoli riparte da Bologna, bravi tutti”.

Se si legge il tweet presidenziale con la voce svampita della repubblicana Jeani Orlean del film Don’t look up la situazione del Napoli assume caratteristiche deliranti.

Per un’estate intera, con la tifoseria annichilita dall’autocelebrazione (dont’ look up!!!!), gli interrogativi della stagione si erano già palesati. Le foglie di fico con cui veniva difesa la società erano delle pie illusioni: i sedici punti di vantaggio, il capocannoniere del campionato, il miglior giocatore della stagione, o’ president’ sap’ a’ iss’ (in un attimo da pappone a imperatore)”. Insomma l’altra faccia della medaglia dello stupidario “a16” ossia il partito dei contestatori della scorsa estate che lo voleva a Bari.

Il viaggio bellissimo del Napoli 22-23, nel quale nessuno credeva (tranne pochi raziocinanti), è finito il quattro maggio quando con l’occhio di bue puntato addosso De Laurentiis – in pieno culto della personalità – ha annunciato di voler vincere la Champions..

Il presidente, volendo soltanto “de-toscanizzare il Napoli” dai due reali artefici dello scudetto, è riuscito a svuotarlo. Totalmente a digiuno di “dinamiche di spogliatoio”, assolutamente carente in nozione di direzione sportiva, ha demolito due pilastri che avevano anche dei difetti, ma che sanno ben comunicare con i giocatori e hanno le giuste armi per consentire alla squadra di esprimersi al meglio.

Tra qualche anno il duo “Spalletti Giuntoli” a Napoli sarà leggendario come Brian Clough e Peter Taylor per il Nottingham Forrest. Il proprietario del Forrest chi era?

Avrebbe dovuto ricordare De Laurentiis che “de-toscanizzare” i progetti che vanno bene non paga. Il terzo atto di Amici Miei, da lui prodotto come il secondo, vide cambiamenti in regia e sceneggiatura che ne cancellarono l’essenza, finendo presto nel dimenticatoio. In Monicelli e Spalletti vediamo punti assonanti, tra Nanni Loy e Garcia qualcuno di meno.

La demolizione di Garcia, da parte di stampa e tifoseria, non ha alcun senso. Garcia allena a modo suo. Non esiste solo il calcio di Spalletti. Non esiste solo il City di Guardiola. Non esistono nel mondo solo cose belle e perfette. Vincere in contropiede all’ultimo secondo, senza sbrodolare sugli expected goals, vale sempre tre punti. Criticarlo perché ha voluto mettere farina del proprio sacco in questo Napoli è proditorio e ingeneroso.

Il sacco di Garcia è quello. In ambito lavorativo ciascun individuo mette le proprie capacità in ciò che fa. Garcia non è diverso dagli altri. Non può essere Spalletti, non lo sarà mai. Ma non perché non ne sia capace, semplicemente è una persona diversa.

Lascia perplessi la gestione del post scudetto, che equivale a quella dei 91 punti. Il Napoli dovrebbe vivere una rivoluzione permanente data la sua ridotta statura economica. La società fa fatica a comprenderlo. Il Napoli paga dazio ogni qualvolta De Laurentiis si siede al tavolo delle trattative, volendo stravincere. La querelle Zielinski-Veiga ne è un manifesto. Il piede di Osimhen non varrà mai duecento milioni di euro, per fortuna il contratto non è stato rinnovato altrimenti saremmo di fronte ad un disastro gestionale.

Ma fino a questo momento “disastro” è l’unico aggettivo che ci viene in mente da quanto Aurelio De Laurentiis gioca a fare il direttore sportivo.

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