Testimonial del football vintage. Tocca appena sedici palloni, uno decisivo. I due passetti per sfuggire al fuorigioco è roba da Pippo Inzaghi
Confessiamo. Siamo rimasti rapiti dal gol di Retegui. Guardato la prima volta quasi a tarda notte, nella solita raffica di reti che ci eravamo persi vista la concomitante partita del Napoli. E all’improvviso dall’Olimpico è apparso lui. La prima volta si osserva il pallone, come al solito, e sembra un banale colpo di testa su respinta del portiere. Oggi si chiama tap-in. Da non confondere con la celebre frase autocommiserativa di Paperon de’ Paperoni.
La seconda volta si riguarda l’azione per ottenere risposta alla domanda: ma non era in fuorigioco? Ed è qui che rimaniamo ammirati. Perché Retegui, l’argentino che Mancini (non ancora saudita) ha portato in Nazionale, fa un movimento d’altri tempi, alla Inzaghi (Filippo ovviamente) o se volete alla Gilardino che adesso è il suo allenatore. Sa bene di essere al limite del fuorigioco al momento del colpo di testa a liberare l’area della Lazio. E scatta, al pari di Marusic. Fa due passi rapidi per mettersi un filo dietro al difensore. Un saltino sul posto, come i tennisti quando si preparano a rispondere al servizio. E appena il compagno di squadra Frendrup calcia verso la porta, è lì pronto a ricevere la respinta di Provedel. Ci mette la testa e segna.
Se doveste ascoltare qualcuno dire: «Lo facevo anch’io», fate sì con la testa, abbozzate un sorriso compiacente e tirate dritto.
Il resto della partita, a leggere i resconti e le statistiche, deve essere stato pochino per il centravanti. Che al minuto 70 è uscito dal campo. Con appena sedici palloni toccati. Un corpo estraneo per il calcio contemporaneo. Ma un corpo estraneo che ha fatto vincere al Genoa la partita. Roba vintage. Démodé.