Su Repubblica: Come un padre, si faceva capire anche tacendo. Smise di allenare perché dopo i settanta non poteva guidare di notte
Carlo Mazzone, il ricordo di Maurizio Crosetti per Repubblica.
Diciamo dunque addio a uno degli ultimi padri fondatori dell’amore magistrale, socratico, su un campo di calcio. Uno come il Trap, come Radice e Bearzot, Vicini e Liedholm, Bagnoli e Boskov, Mondonico e Ranieri, e potremmo continuare. L’allenatore al quale si dava del lei e che non era quasi mai coetaneo dei calciatori, come a volte accade oggi, non era una star, non replicava colleghi tutti uguali, a modino, plastificati, ben pettinati, assai ben stipendiati, abili nel parlare molto per dire niente. L’esatto contrario degli aforismi fulminanti di Carletto. Averne ancora? Magara.
Come un padre, questo tipo di allenatore sapeva dire e si faceva capire anche tacendo, fossero tattica o sesso o destini da rincorrere. Non è un caso che il suo territorio fosse la provincia. Mazzone ha vissuto ad Ascoli, e smise di allenare perché dopo i settanta non poteva tornare a casa in macchina tutte le domeniche di notte. Il senso della piccola patria come motivo fondante di tanto orgoglio: «Sono felice di aver fatto parlare della città di Ascoli in tutt’Italia». Una geografia di periferie che rappresentano invece il cuore pulsante più vivo del nostro Paese.
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