L’attaccante del Napoli si racconta a France Football «Quello che Spalletti ha fatto da quando è arrivato non può essere paragonato a quello che ho conosciuto altrove»
L’attaccante del Napoli, Victor Osimhen ha rilasciato una lunga intervista a FranceFootball in cui ha ripercorso alcune tappe fondamentali della sua carriera di calciatore partendo dalla Coppa del Mondo U17 del 2015. Per lui non è stato facile abbandonare la sua famiglia e i luoghi in cui è nato e cresciuto, ma lo ha fatto per inseguire il suo sogno
«Sono ”dipendente” dal mio quartiere o diciamo che lo ero. Tutti quelli che sono cresciuti lì lo sono, lo sono stati. Avremmo voluto non andarcene mai. Quindi, la prima volta che mi sono mosso, per andare a fare un provino, è stato molto, molto difficile. Lo ricordo perfettamente. Ho svegliato mio padre alle 4 del mattino e gli ho detto che stavo partendo, che dovevo farlo. La mia famiglia mi ha sostenuto, mi ha detto di correre. Stavo lasciando Lagos per la prima volta»
Osimhen racconta poi dell’esperienza al Wolfsburg che è stata la sua prima vera esperienza in un club, ma è stata difficile
«Al mio arrivo ero accompagnato da diversi membri della mia famiglia e dai miei due ex agenti. Erano loro che avevano effettuato tutti i passaggi, le firme, ecc. A poco a poco, sono ripartiti. Quando mio fratello, l’ultimo ad aver fatto le valigie, ha chiuso la porta, c’è stato come un vuoto. Tornavo a casa dall’allenamento e mi ritrovavo da solo in questa casa enorme. Ero sempre solo ed è stato… traumatico, in realtà. Credo che tutti i giovani giocatori che ci sono passati sappiano di cosa voglio dire».
Il bomber nigeriano racconta anche dei momenti difficili, dei tanti no ricevuti e delle delusioni che hanno seguito questo periodo «sono passato dall’essere capocannoniere della Coppa del Mondo U17, che tutti gli agenti volevano, ad essere il ragazzo il cui telefono non squilla più. Dicevo che questo era il calcio. Ma ammetto che stava diventando demoralizzante»
Poi è arrivato il Belgio, Charleroi e Victor ammette che è stato un momento di grande crescita per lui e che già nella pausa invernale un grande club lo voleva «Ho segnato venti gol e quattro assist. Alla tregua, un club italiano mi voleva già…Non darò il nome ma era una squadra top»
Ancora un passaggio, il Lille con Galtier,
«Al primo allenamento con il Lille mi chiese quanti gol avrei fatto al debutto, gli dissi che ne avrei segnati due. Un po’ ci scherzammo su, lo stesso Fonte mi promise che se avessi fatto doppietta mi avrebbe portato al ristorante. Contro il Nantes non solo feci due gol, ma un assist me lo diede proprio Fonte. Il secondo gol arrivò al minuto 80, fu una scarica di adrenalina pazzesca. Perdevamo 1-0 e grazie a quei due gol riuscimmo a ribaltare la gara»
Tutto questo prima di arrivare al Napoli «Charleroi mi ha fatto mostrare, il Lille ancora un po’ di più, ma arrivare qui equivale a cambiare il mondo. I fan, non l’avevo mai visto, vivono per questo club. Ciò riguarda il corpo, il cuore. Al mio arrivo in aeroporto, sono rimasto impressionato. Nello spogliatoio ho chiesto a Dries (Mertens) e (Kalidou) Koulibaly se quello che avevo appena vissuto era reale. Mi hanno risposto in coro che non avevo ancora visto nulla»
Sui tifosi aggiunge
«L’energia che trasmettono alla squadra, quello che sta succedendo qui da qualche mese, l’eredità di Maradona… Si sente tutto questo. I tifosi non mi preoccupano mai, anche quando mi fermano per strada. Vogliono solo darti affetto. Allo stadio sono incredibili e ci aiutano. Qualcuno non credeva in me quando sono arrivato in Italia, ma la società e i compagni sì. E questo è fondamentale. Per esplodere avevo bisogno del posto giusto, Napoli è il mio posto»
Il primo anno a Napoli non è stato semplice per lui, tante critiche, tanti che scrivevano e pensavano che non ce l’avrebbe fatta
«Qualunque cosa la gente dica, continuerò a dare tutto per la mia squadra. Colgo l’occasione per ringraziare il presidente (Aurelio De Laurentiis) e il nostro direttore sportivo (Cristiano Giuntoli). Sono stati pazienti con me. Gennaro Gattuso (il suo allenatore nella sua prima stagione), anche. Mi ripetevano tutti che dipendeva solo da me e che, se continuavo a lavorare, sarebbe arrivata la mia ora. Quando persone importanti come loro e i tuoi compagni di squadra stanno dietro di te, non puoi fallire»
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