Bambino in una Belgrado martoriata dalla guerra, è diventato tennista senza federazioni o sponsor che potessero aiutarlo
“I campioni non si costruiscono in palestra. Si plasmano dall’interno, partendo da qualcosa che hanno nel profondo: un desiderio, un sogno, una visione. Devono avere resistenza fino all’ultimo minuto, devono essere un po’ più veloci, devono avere l’abilità e la volontà. Ma la volontà deve essere più forte dell’abilità.” Vengono buone da citare le parole di Muhammad Alì per raccontare l’epopea di Novak Djokovic. Non a caso, poche ora fa, nel discorso di premiazione per il decimo Australian Open (e 22°Slam in bacheca) vinto, il serbo si è augurato di essere un’ispirazione per i bimbi, affinché lottino nel credere nei loro sogni, per quanto difficili adesso possano sembrare.
Bambino in una Belgrado martoriata dalla guerra, è diventato tennista senza federazioni o sponsor che potessero aiutarlo e senza essere dotato di particolare talento (se con questa parola si intende la capacità di attrarre l’attenzione con colpi eleganti e spettacolari). Può non essere simpatico, può avere sbagliato posizioni politiche e non, ma non si può non riconoscergli una straordinaria forza di volontà che lo ha portato, da dove è partito, a essere il tennista con i migliori numeri della storia del tennis. Lo ha fatto superando operazioni delicate (nei primi mesi del 2018 non c’era più nessuno a dargli credito) e avendo lo scorso anno – pur di portare avanti le proprie idee- sia il coraggio di rinunciare a soldi e gloria che la forza mentale di reagire all’essere additato come “pericoloso” dai media mondiali.
Gianni Clerici, nel maggio 2011, prima che divenisse numero 1, lo descriveva così: “… Il gioco del nuovo campione si basa su una condizione tecnica straordinaria, anche per la capacità di assorbire e metabolizzare la fatica. Grazie allo straordinario perno delle gambe, Nole è in grado di colpire splendidamente palle per altri quasi perdute all’esterno delle righe laterali, e trasformarle in parabole rientranti di geniale geometricità.” Nei successivi 11 anni col duro lavoro e tanti sacrifici, Djokovic ha aggiunto tanto altro al suo bagaglio tecnico, che ora è vastissimo.
Così tanto da rendere oggi quasi normale lo straordinario: essere numeri 1 al mondo a 35 anni e 8 mesi, conquistare uno Slam perdendo solo un set e vincere 38 delle ultime 40 partite giocate (e tutte e 11 quelle contro colleghi nella top ten).
Ferruccio Roberti
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