Nel Paese il calcio è vissuto in modo radicale. Finire secondi equivale a finire ultimi. Per un giocatore è difficile reggere la pressione
In un lungo editoriale, l’ex calciatore brasiliano Juninho spiega al The Guardian la pressione che vive il Brasile in questa Coppa del Mondo. Il Brasile è obbligato a vincere contro la Corea. Finire secondi, nel Paese, equivale a finire ultimi.
C’è un’enorme passione per il calcio in Brasile e il modo in cui tutti nel Paese analizzano la nazionale è radicale, a volte semplicistico e spesso travolgente quando si tratta di criticare i giocatori e l’allenatore, facendo sembrare che il calcio sia molto facile per chi gioca, soprattutto se è un giocatore professionista. In Brasile sembra difficile accettare che il calcio, così come la vita, si possa evolvere.
Per questo motivo, la pressione che il Brasile avverte sulle spalle alla vigilia degli ottavi di finale contro la Corea del Sud è enorme.
Il fatto che stiano affrontando la Corea del Sud, che tutti pensano che dovrebbero battere, non fa che aumentare l’aspettativa e la pressione che il Brasile deve affrontare. Sarebbe stato diverso se avessero affrontato Portogallo o Uruguay.