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Jacobs: «Fisico e testa devono correre insieme. L’atletica per me è puro divertimento»

Al Giornale. «Alle Olimpiadi, mentre i miei avversari si guardavano in cagnesco, io li salutavo battendogli il cinque. Mi sentivo leggero»

Jacobs: «Fisico e testa devono correre insieme. L’atletica per me è puro divertimento»
Monaco di Baviera (Germania) 16/08/2022 - Campionati Europei Atletica Leggera / foto Imago/Image Sport nella foto: Lamont Marcell Jacobs ONLY ITALY

Il Giornale intervista Marcell Jacobs. E lo presenta coi fuochi d’artificio: “in un mondo di cattivi maestri o, più banalmente, di idoli di cartapesta e miti impastati nel nulla, i giovani (e non solo) possono guardare al nostro più grande velocista senza il rischio di essere delusi”, scrive.

Riportiamo alcune delle risposte di Jacobs.

Marcell, da bimbo, qual è «l’attimo fuggente» che più ti ha segnato?

«La fuga di mio padre quando ero piccolo».

Hai trascorso l’infanzia, l’adolescenza, la gioventù chiedendoti il perché di una scelta tanto assurda. Hai trovato la risposta?

«No, ma ho perdonato. Ho capito che dovevo riallacciare quel rapporto. Era in gioco il mio equilibrio. È stata la scelta giusta».

È il capitolo più intenso del tuo libro.

«La vita, a differenza dei 100 metri che sono un rettilineo, è piena di curve».

Ma tu sei riuscito ad raddrizzare anche le «curve».

«Ho saputo trarre energia dal dolore, trasformando in punti di forza le mie insicurezze».

. Il segreto del successo è anche allenare la mente.

«Fisico e testa devono correre insieme. Liberi. Se non c’è simbiosi tra corpo e psiche è impossibile tagliare il traguardo da vincenti».

Il prodigio dei tuoi record è nell’accelerazione negli ultimi 20 metri. Qual è il segreto per raggiungere il picco della velocità proprio in dirittura d’arrivo?

«Un mix di impegno umano e aggiornamento tecnico».

Cos’è per te l’atletica?

«Puro divertimento».

Rimanere di «buon umore» prima di una finale sotto gli occhi del mondo non è da tutti.

«Alle Olimpiadi di Tokyo 2020 e quest’anno agli Europei a Monaco di Baviera, mentre i miei avversari si guardavano in cagnesco, io li salutavo battendogli il cinque, come se dovessimo fare una gara tra amici. Mi sentivo libero. Leggero».

E, prima dell’oro, i soliti gesti propiziatori dietro ai blocchi di partenza. Le mani «a paraocchi», una carezza sul cuore e due pacche sulle spalle. Che significato hanno?

«Le mani a paraocchi – come dici tu – indicano la volontà di guardare solo la mia corsia e null’altro; la carezza sul cuore è un gesto di affetto verso chi mi vuole bene; le pacche sulle spalle per dire all’ex piccolo Marcell: Bravo, nonostante tutto quello che hai sofferto, ce l’hai fatta».

Perché ti chiamavano “motoretta” da bambino?

«Mia madre non voleva comprarmi il motorino e allora correvo a piedi, ma facendo il verso della motoretta. Impennavo, acceleravo, sgommavo. Era tutto finto. Imitando però il rumore del motore a manetta».

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