Il giornalismo italiano era ai piedi di Roma e Inter mentre da noi imperavano gli A16. Oggi, come se nulla fosse, si elogia il Napoli. È il mainstream, stupid
Che cosa preferiamo? La citazione dotta, “il sole ingannatore” di Nikita Michalkov? Oppure la più abbordabile fantozziana corazzata Potemkin? L’estate romana (calcistica) è stata una cagata tremenda. Che aveva incantato i signori del giornalismo italiano genuflessi a cotanto tabellone di appuntamenti: festa per Dybala al Colosseo quadrato; festa per Wijnaldum. L’arrivo di Belotti. L’allestimento di una squadra spacciato per un cartellone di eventi, proprio come avveniva ai tempi del glorioso Renato Nicolini assessore alla Cultura delle giunte Argan e Petroselli, l’uomo che si inventò l’estate romana. Si era negli anni Settanta e poi a cavallo con gli Ottanta. Ahinoi Nicolini non c’è più e in questi tempi senza memoria hanno osato affiancare quello shock culturale a una campagna acquisti calcistica fatta dal robivecchi. Ma tutto ciò che è vecchio, in Italia, affascina. Perché coloro i quali pontificano, tromboneggiano, sono vecchi. Ma tanto. Non solo anagraficamente. Gonfi, lividi, dopo anni di mortificazioni a dire signorsì.
E dopo tredici giornate, con Dybala che si è infortunato calciando un rigore – come avviene al calcetto del giovedì –, Wijnaldum che in campo non si è mai visto, Mourinho che perde un derby con la costruzione da dietro, non scappa nemmeno da ridere a rileggere quel che fu scritto sulla magnifica estate romana.
Così scrisse la Gazzetta dopo la presentazione di Dybala:
Se Dybala fino a ieri poteva ancora lecitamente chiedersi se la Roma fosse o meno la scelta giusta per ripartire dopo il doloroso addio alla Juve, la sua incredibile presentazione hollywoodiana e l’abbraccio caldissimo di migliaia di tifosi accorsi per lui, avranno certamente fugato gli ultimi, eventuali, dubbi. In nessun’altra parte del mondo avrebbe ricevuto un’accoglienza simile. Il Colosseo quadrato è stato illuminato con giochi di luce giallorossa e l’immagine dell’argentino è stata proiettata mentre i tifosi intonavano il suo nome. Una scenografia da film.
Repubblica parlava di instant team.
Il progetto su base triennale che aveva accettato nel 2021 prevedeva di arrivare, nell’estate 2023, a pensare di poter competere con le grandi d’Italia. Ma la vittoria della Conference League è diventata il booster dei piani di José. Non sa, il guru portoghese, se la sua permanenza a Roma durerà anche per una terza stagione e vuol fare in fretta.
E ancora:
La Roma, adesso, punta a bruciare le tappe. Per sedersi, da subito, al tavolo da gioco per la posta più alta.
Due giorni prima, il 25 luglio, Sconcerti scrisse:
“A me sembra che siano i tifosi insoddisfatti. Non so se sarà rinforzato o meno, ma non c’è dubbio che sia un altro Napoli. Vedremo che Napoli è. Ad oggi è audace dire che si è rinforzato”.
Audace. Ma con i giornali estivi potremmo allestire una mostra, magari sulla Napoli-Bari. Negli stessi giorni, dalle nostre parti imperava il movimento A16: i tifosotti inventavano quotidianamente battute sul georgiano acquistato per sostituire Insigne; le lacrime erano sempre calde per Ciro Mertens trattato come se quel 14 sulla maglia fosse appartenuto a Johann Cruyff. E tutto quel che sappiamo.
Ogni sera la tv mandava in onda uno speciale dedicato alle squadre che avrebbero dominato: la Juventus di Pogba e Di Maria, l’Inter di Lukaku, la Roma di Dybala e Wijnaldum. Mentre Napoli – così raccontavano – aveva deciso di buttarsi via, lasciando partire il meglio e scegliendo come sostituti giocatorini senza né arte né parte. Peraltro del terzo mondo calcistico: la Gerogia, la Corea…
È l’Italia. Chi tre mesi fa, per dirla alla Guccini, faceva il Bertoncelli ossia sparava cazzate, oggi elogia con convinzione la campagna acquisti di De Laurentiis e Giuntoli, e l’invincibile armata di Spalletti. In favor di telecamera, of course.