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Quel video di insulti a De Laurentiis mostra la sottocultura che da anni a Napoli è riferimento culturale

Una sottocultura cui tante persone, anche note, rivolgono lo sguardo, ammiccando. No. quegli insulti non sono opera di “delinquenti”

Quel video di insulti a De Laurentiis mostra la sottocultura che da anni a Napoli è riferimento culturale

“Noi abbiamo sempre criticato, ma con rispetto, per il miglioramento dell’azienda Napoli, per una migliore comunicazione, perché la tifoseria fa dei sacrifici e merita rispetto”.

Prendete questo virgolettato ed appiccicatelo su ogni bacheca dei talebani anti societari. Perché ovviamente fa comodo a tutti avere un piede in due scarpe. Il diritto di critica è garantito.

Ma molti riservano a se stessi anche il diritto di pararsi il culo. Non approfondiamo poi nel merito circa le parole “rispetto” e “tifoseria”. Concetti che lo strutturalista Claude Levì Strauss avrebbe fatto fatica ad analizzare.

Anime innocenti che aizzano, con i loro strali anti-societari, una marmaglia informe di decerebrati che ovviamente devono coprire di insulti un presidente di calcio (della loro squadra di calcio), un uomo anziano che sta serenamente passeggiando per le vie di una città.

Non sono ricevibili le giustificazioni “eh ma quelli del video sono delinquenti”.

Perché non lo sono. Sono il prodotto di una sottocultura che a Napoli germoglia da sempre. Ma che negli ultimi decenni è diventata “riferimento culturale” della città. A cui tante persone rivolgono lo sguardo, ammiccando. Tutti. Personaggi dello spettacolo, napoletani considerati illustri, professionisti.

Perché andare contro la massa, se questa massa mi fa guadagnare e mi regala audience? Si ragiona solo con la pancia.

Non può esserci salvezza per un popolo cosi. Non può esserci comprensione per chi non conosce le basi minime di educazione civica e vivere civile.

Abbiano il coraggio (ne dubitiamo) di prendersi le proprie responsabilità i mullah che soffiano senza sosta sul fuoco della protesta, con violenza verbale che a volte può essere più ficcante di quella fisica.

Il calcio rimane un gioco e se per un gioco bisogna perdere la propria dignità, è evidente che questa dignità ve la siete giocata per tutelare un vostro tornaconto. Per tutelare la vostra ribalta, che vedrete prima o poi vi presenterà il conto.

Il tessuto connettivo della città non risponde più a sollecitazioni per progredire.

Tutte le sollecitazioni, culturali, economiche e lavorative, sono al continuo regresso.

Una città che non ha stimolo a vivere il presente, ma che vive costantemente nel passato, non ha futuro.

Non c’è una categoria diversa dall’altra più coinvolta. Le categorie in questo caso non c’entrano. Siamo noi soli che decidiamo cosa vogliamo essere. Dando ascolto a chi ci parla soltanto per proprio tornaconto.

I guardiani del nostro buonsenso siamo solo noi.

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