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Lippi: «Ho sempre fumato sigarette, anche da calciatore. Da allenatore ne fumavo troppe: passai al sigaro»

Al CorSera: «Guardo le partite da solo, non voglio nessuno che commenti e mi disturbi. Da giovane amavo la pittura, oggi leggo riviste scientifiche, anche di medicina».

Lippi: «Ho sempre fumato sigarette, anche da calciatore. Da allenatore ne fumavo troppe: passai al sigaro»
Db Milano 30/04/2015 - Expo 2015 / The Opening / foto Daniele Buffa/Image nella foto: Marcello Lippi

Sul Corriere della Sera una lunga intervista a Marcello Lippi. Ricorda la sua infanzia, con i lunghi soggiorni al mare.

«Il primo ricordo è quello del mare, a due passi da casa: trascorrevo sei mesi all’anno in costume e gli altri sei a giocare in Pineta. La mia vita era questa».

Il mare è ancora una presenza importante nella sua vita.

«Per me non esiste una vacanza senza il mare: faccio immersioni e soprattutto adoro tuffarmi, mia moglie dice che esagero, pensa sia pericoloso, ma non prendo rischi. E quando faccio i primi tuffi della stagione sono la persona più felice di questo mondo».

Quando era a scuola dava una mano al padre, che aveva un laboratorio di dolci.

«Mio padre aveva un laboratorio di pasticceria e dato che non andavo tanto bene a scuola davo una mano, portavo i dolci ai bar: quanti me ne sono caduti».

La scuola non le piaceva?

«Non avevo voglia, pensavo al pallone e basta».

Ha vissuto la Versilia negli anni del boom economico.

«Quell’aria l’ho respirata tutta: c’era voglia di divertirsi e in questo la Versilia era uno dei luoghi più importanti, tra musica e belle donne. Io poi avevo una fortuna particolare: mio cugino era direttore della Bussola e mi faceva entrare anche se non avevo una lira in tasca. Entravo con una ragazza, prendevo un tavolino e ci mettevamo a sedere. Lui arrivava e mi diceva: io ti faccio entrare ma i tavoli lasciameli liberi».

Poi si è preso le sue rivincite.

«Sì, perché ci tornavo da calciatore di serie A ed erano tutti felici di quello che mi stava succedendo. Cugino compreso».

Gli chiedono se ha sempre fumato i sigari:

«Per la verità ho sempre fumato la sigaretta, da quando avevo quindici anni, e ho continuato anche da calciatore. Quando allenavo ne fumavo così tante che mi faceva male la gola e tossivo, così passai ai sigarini più leggeri e fumo gli stessi da allora, danesi. Rigorosamente mai al mattino».

Racconta il primo incontro con sua moglie.

«Ci siamo conosciuti quando giocavo nella Samp, conoscevo il padre, presidente di tutti i club del Genoa della Liguria. Una sera, sul lungomare in corso Italia, facevo un po’ lo scemo: ero abbracciato a una ragazza e avevo gli occhiali da sole, anche se erano le nove. Entrò questo signore con la famiglia, quindi anche con la figlia, e mi salutò, non feci una gran bella figura. Ma non fu l’unica. Il giorno dopo esco di casa e dall’altra parte della strada c’era lei, ci salutiamo, ma non la riconosco. Un anno dopo eravamo sposati».

Cosa le piace leggere?

«Riviste scientifiche, anche di medicina».

La passione giovanile per la pittura non l’ha più esercitata?

«No, anche se ero bravino».

Dove guardò la finale del Mundial, l’11 luglio ’82?

«A casa, da solo, come tutte le partite. Non voglio nessuno che faccia commenti, che mi chieda cosa avrei fatto, che mi disturbi».

Il ricordo della vittoria di quella Nazionale è più forte rispetto a quella del 2006?

«Non credo, anche se non si vinceva da tanto e avrà fatto più sensazione. Però se giro per il mondo tutti si ricordano del 2006. Ovunque vado, mi conoscono tutti come l’allenatore campione del mondo, più che della Juve, anche se con la Juve ho vinto tantissimo».

Ha una fama di duro: lo è mai stato troppo?

«Non sono mai stato un duro, ma ho sempre cercato di fare capire una cosa: il grande obiettivo è costruire un gruppo con stima e voglia di stare assieme, per mettere a disposizione degli altri le proprie grandi qualità. Io mi preoccupavo di questo. E quando c’era qualcuno che la pensava diversamente lo pigliavo metaforicamente per un orecchio e lo toglievo dal gruppo».

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