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Edo, Barbara e gli altri: il capitalismo familiare quando i figli crescono

Da Barbara Berlusconi a Edo De Laurentiis, senza dimenticare Rosella Sensi: i figli scalciano, i padri invecchiano, in alcuni casi è l’inizio della fine

Edo, Barbara e gli altri: il capitalismo familiare quando i figli crescono
Db Barcellona (Spagna) 03/04/2012 - Champions League / Barcellona-Milan / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Adriano Galliani-Barbara Berlusconi

“Familismo amorale” disse quel tale. Che poi si chiamava Banfield. Di quelle due parole, di quel libro si è discusso per decenni. Condiviso da alcuni, aspramente contestato da altri. Non ci inoltreremo nella questione. Morale o amorale, è uno dei cardini del nostro capitalismo. Che talvolta incrocia anche il mondo del calcio. Ed è uno strano incrocio, decisamente più Edipo Re che non la generazione Telemaco che Renzi provò a cavalcare con il sostegno intellettuale di Massimo Recalcati.

Più terra terra, arriva il momento in cui nelle aziende familiari costruite da una sola persona che e quindi ruotano attorno al padre-padrone, o re sole se preferite, il figlio giunge a maturità. Diventa adulto. E come tale ambisce a trovare uno spazio nella società. E può farlo quasi esclusivamente attraverso la scalata in famiglia. E quindi scalcia, non si nasconde, tesse relazioni, vive giustamente fino in fondo il proprio ruolo di protagonista certificato dalla carica assegnatagli in azienda.

Nel calcio italiano i figli quasi mai hanno eguagliato i padri. Massimo Moratti, che si è poi ripulito l’immagine col triplete di Mourinho (secondo gli juventini sempre grazie a Calciopoli), è stato a lungo, a lunghissimo, considerato figlio di un presidente maggiore. Ha vissuto e sopportato l’ombra del padre Angelo che vegliava dall’alto delle sue due Coppe dei Campioni e dell’Inter passata alla storia. Sorvolando sulla Juventus, che è una storia diversa e comunque i figli di Gianni sono sempre stati defilati, e avvicinandoci ai tempi nostri, l’esempio più eclatante e per certi più riuscito è stato quella di Rosella Sensi. Che non ha vinto, che ha dovuto fronteggiare la doppia ondata di critiche (figlia e donna, anzi nel suo caso prima donna e poi figlia) ma che è riuscita a far accettare il proprio ruolo.

Il Napolista ne scrive ovviamente in riferimento a Edoardo De Laurentiis vicepresidente del Napoli e sempre più protagonista della vita del club. È stato il personaggio chiave di quella serata e di quella vicenda ammutinamento che ruotò attorno alla lite con Allan. Quando il terreno si sposta da quello aziendale, industriale, a quello familiare, cambia tutto. Il sangue ribolle se toccano la famiglia; decisamente meno se offendono l’amministratore delegato, in quel caso si riesce a ragionare con più equilibrio.

In questi giorni in cui Edoardo è tornato alla ribalta della cronaca, ci è tornato in mente il momento in cui il Milan di Berlusconi scavallò. Milan di Berlusconi che comunque aveva una solida struttura societaria. Il momento in cui smise di crescere e cominciò l’evidente declino. Era il gennaio 2012. L’anno prima, i rossoneri vinsero l’ultimo scudetto della loro storia. In panchina c’era Allegri. Sulla tolda di comando Galliani che aveva praticamente chiuso l’acquisto di Tevez. Il sacrificato era Alexander Pato all’epoca unito sentimentalmente a Barbara Berlusconi. Galliani volò a Manchester per chiudere col City. Ma poi, da Arcore, arrivò l’improvviso alt. Non se ne fece più niente. Pato rimase a Milano e calcisticamente progressivamente scomparve. Tevez finì alla Juventus con cui vinse due scudetti di fila e giocò una finale di Champions. L’anno dopo, Barbara divenne vicepresidente del Milan, preceduta da una frase a lei attribuita: «il Milan non spende poco, spende tanto e male». Le foto di Galliani in tribuna “commissariato” da Barbara Berlusconi, furono l’emblema del declino societario in nome della fedeltà e della riconoscenza all’uomo che cambiò la vita al geometra Adriano.

Le storie non sono mai uguali, ovviamente. Nella galassia De Laurentiis, i figli protagonisti della vita pubblica sono due. Luigi ha un ruolo bene definito e proprio in questi giorni si sta godendo i meritati riconoscimenti sportivi e mediatici per la conquista della Serie B col Bari. Nelle interviste ha, ovviamente, sempre elogiato il padre, sottolineando quanto nella vita reale sia diverso da come appaia. Lo ha definito tenero. Ma su un punto non ha arretrato: “nella gestione delle risorse umane, io e mio padre abbiamo metodi diversi”.

L’altro è Edoardo vicepresidente del Napoli che vive comunque all’ombra di Aurelio. Dopo l’ammutinamento, è tornato sui giornali in questa crisi-remake tanto assurda quanto rivelatrice che dal novembre 2019 ben poco è cambiato. Sono trascorsi due anni e mezzo in più e da allora, fisiologicamente, il figlio ha conquistato più spazio. Lo scorrere del tempo è implacabile.

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