Chiellini vale Dellas, Insigne Karagounis. Non è un caso se Immobile scappa da Dortmund e Siviglia e ripara nella mediocre Lazio di Lotito. E Cannavaro è perfetto per l’ItalGrecia
Eccoci qua. Dopo una delle disfatte più annunciate del calcio italiano. Disfatta che fa molto più rumore, perché avvenuta inaspettatamente in anticipo rispetto a martedì prossimo. Fa rumore la sconfitta. Plastica dimostrazione di ciò che è oggi l’italia. Non come Nazionale. Bensì come paese. Un paese nel quale si è completamente smarrito il senso della realtà e della propria importanza. La cosa più bella della serata di ieri è stato vedere un piccolo paese dare lezione ad un paese che si ritiene grande. Ma che di grande serba solo i ricordi, e che di grande mantiene solo boria e presunzione.
Possiamo definire quello di luglio 2021 un incidente. Come la Grecia nel 2004. Uguale. Gli ellenici non arrivarono a Germania 2006 da campioni europei. Oggi l’italia del calcio vale come quella Grecia di diciotto anni fa. Chiellini al posto di Dellas, Verratti al posto di Zagorakis, Insigne al posto di Karagounis. Non oltre. La narrazione nazionale ci ha portato a considerare dei giocatori normali dei campioni. Non è un caso se Immobile scappa da Dortmund e Siviglia, riparando alla mediocre Lazio di Lotito. Non è un caso se nel motore ingolfato del pluri-eliminato PSG ci sia Verratti da otto anni. Non è un caso che il simbolo del Napoli sia il “10” della Nazionale che salta due Mondiali. Questa è la realtà. Il resto è solo rumore di fondo. Numeri, prestazioni, “occupazione degli spazi” sono solo chiacchiere rispetto ai fatti.
Perché alla fine la parabola calcistica di questa generazione di calciatori dovrà necessariamente passare per questo giudizio. Possiamo affermare con certezza che quello che succede nel nostro campionato è irrilevante. I giudizi roboanti sono solo ad uso e consumo dei media e di noi bulimici consumatori. È un problema di rifiuto del proprio retaggio. Il retaggio del calcio italiano non è mai stato verso il bello, il ricamo, il fraseggio. Il calcio italiano è sempre stato tutt’altro. La vittorie più epiche sono state sempre raggiunte attraverso un calcio brutto, ma redditizio. Da Brutti, sporchi e cattivi, siamo schiavi più della moda calcistica, che della sostanza. Sottoposti sempre di più a giudizi estetici che di merito. Anche per gli altri paesi è cosi, ma in Italia facciamo a gara a prendere le distanze da noi stessi per poter essere accettati. Il mainstream Adani, mediocre difensore centrale, cantore principe di questa nouvelle vague dell’onanismo di numeri, possesso palla ed expected goals.
È un discorso educativo. Il Paese deve ripensare se stesso. Non soltanto il calcio. Il calcio è una delle cartine al tornasole del Paese. Dai genitori protagonisti delle scuole calcio dei propri rampolli, agli allenatori delle scuole calcio che parlano del “mio calcio” su bambini di nove anni. Ai presidenti di società che mandano ad ammuffire in provincia i “giovani” fino ai 27 anni, ad un sistema che deve necessariamente morire per rinascere, tagliando tutti i rami secchi . Anche quelli di comunicazione. Quelli che già oggi sponsorizzano la figurina Fabio Cannavaro. Allenatore della periferia del mondo, con più passato che futuro, meno preparato di Roberto De Zerbi. Unico serio candidato per chi spera in un futuro migliore.