Abbiamo sperato nella Asl, inveito contro De Laurentiis. Basta guardarsi indietro, abbiamo una grande squadra, apprezziamola
Perché? Perché a Napoli abbiamo bisogno degli eroi, dei santi, dei simboli? Perché noi napoletani abbiamo paura di guardarci allo specchio, di guardare la realtà?
Confesso, anch’io immaginavo che avremmo vissuto una drammatica serata della befana, allo Stadium di Torino.
E diciamolo una volta per tutte: noi non siamo né tifosi fino in fondo, e neppure esperti, allenatori, tecnici dell’arte del pallone. Noi napoletani siamo vittime di noi stessi. Non crediamo in quella squadra che ci rappresenta. E cioè non crediamo in Napoli e nel Napoli.
Dovremmo andare tutti dallo psicologo. Nelle ultime 36 ore in quanti ci siamo aggrappati a san Gennaro l’Asl? Convinti che un burocrate sanitario, mi perdonino i burocrati e i sanitari, risolvesse il problema dei giocatori contagiati e infortunati, non lasciando decollare il volo Capodichino-Caselle?
Abbiamo aspettato il fischio d’inizio convinti che saremmo andati al macello, che ci avrebbero asfaltati. E naturalmente in molti ce la siamo presa con il Presidente, un ottimo parafulmine sul quale scaricare frustrazioni e ansie di un popolino ribelle per principio.
Il batticuore ci ha accompagnati nella telecronaca di Dazn. Poi il gol liberatorio di sua Maestà Ciro ci ha fatto uscire dall’incantesimo maledetto della terra senza speranza. E finalmente abbiamo visto che la nostra squadra, la “panchina lunga lunga” è un gruppo di gladiatori che nel Colosseo di una Serie A e di una Lega che la governa, corrotta e impresentabile, vende cara la sua pelle e l’anima.
Non dobbiamo chiedere favori a nessuno. Non dobbiamo appellarci a san Gennaro o a Diego Armando Maradona. Basta con il passato che è sempre di più un alibi per non vedere il presente. Non siamo orfani di nessuno, siamo figli e padri, figlie e madri di una città e di una squadra che meritano rispetto. Innanzitutto dai propri figli.