In fuga dal ritiro, sembra che ci sia un’epidemia. Con tanti saluti alla retorica del gruppo. La Nazionale è un carro su cui si sale solo quando si vince
I dieci piccoli azzurri. Uno dopo l’altro, se ne stanno andando praticamente tutti. La Nazionale di Mancini somiglia terribilmente alle occupazioni studentesche. Si cominciava carichi di entusiasmo e determinazione. Per fargliela vedere ai professori e ai genitori che si era adulti, che la didattica ce la si può organizzare anche da soli, che piccoli sarete voi. Negli iniziali picchi di entusiasmo si arrivava a ipotizzare di diventare un modello alternativo da studiare. Poi, però, subentrava la realtà. La vita scomoda, il freddo, i genitori che arrivavano a prendere qualcuno per le orecchie, il compleanno della nonna. E tempo pochi giorni si tornava alle interrogazioni canoniche con la professoressa che imbracciava il registro.
La Nazionale di Mancini ci sta facendo rivivere quel clima. Francamente non ricordiamo un precedente analogo. Una sorta di ammutinamento, per carità dovuto a malesseri fisici, a infortuni. Come se ci fosse un’epidemia. Uno dopo l’altro, sono tornati a casa: Lorenzo Pellegrini, Zaniolo, Immobile, Chiellini, Bastoni, Calabria, Biraghi e adesso pure Sirigu. La domanda è: ma perché tornano a casa? Tutti poi. Ci hanno ammorbato loro e la retorica del gruppo – una delle più grandi panzane che mai siano state create (leggetevi il libro della talpa di Italia 90: è meraviglioso) – e poi se ne vanno tutti come se fossimo alla vigilia di una partita di calcetto qualsiasi. “A proposito, fateci sapere il risultato”.
Sembra quasi che ci sia un clima di smobilitazione. Che si faccia fatica a trovarne undici disponibili a scendere in campo. Francamente non è una bella immagine. Sostanzialmente la Nazionale è un impiccio, soprattutto per i club, poi però nel caso in cui – per miracolo – si vince qualcosa, salgono tutti sul carro. Qualche volta, però, il carro andrebbe anche spinto. Invece di giocare solo alla lapidazione del povero malcapitato di turno.