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Nino D’Angelo: «Andai via da Napoli perché la camorra mi sparò in casa, devo tutto a Napoli»

Al Corsera: «Miles Davis comprò tutta la mia discografia, io nemmeno lo conoscevo. La professore disse a mia madre che ero un poeta che non sapeva parlare»

Nino D’Angelo: «Andai via da Napoli perché la camorra mi sparò in casa, devo tutto a Napoli»
Attore napoletano Nino D' Angelo Neapolitan actor Nino D' Angelo.

Il Corriere della sera dedica una bellissima pagina a Nino D’Angelo con un’ampia intervista. Ricorda l’intervista del 1986 in cui Miles Davis disse:

«L’altro giorno, ho sentito cantare un italiano che mi ha scioccato: Nino D’Angelo. Formidabile, potrei suonare la sua musica». L’aveva sentito in taxi e s’era comprato tutta la discografia. I flash sono certe scene, ma pure certe risposte di Nino. Tipo: «Mi avvisò il mio bassista la mattina. Fa: “Hai visto che ha detto Miles Davis?”. Dico “ma chi è? Un nuovo giocatore del Napoli?”. Onestamente, questo Davis non lo conoscevo. Sentivo solo i cantanti napoletani. Forse, i Beatles avrei riconosciuto».

La fuga da Napoli.

«Me ne sono andato perché hanno sparato due volte contro casa mia».

Il pizzo? chiede la giornalista Candida Morvillo.

La camorra, volevano i soldi. Vedevano il successo. Telefonavano, minacciavano. La seconda volta, hanno sparato dentro casa, il proiettile è entrato nella stanza dove mio figlio Vincenzo dormiva nel lettino. Siamo scappati in un giorno. Un peccato, perché devo tutto alla città, i napoletani mi adorano: piace che uno di loro ce l’ha fatta senza aiuti».

Nessuno ci diceva che la scuola era importante. A me studiare non piaceva, perché non piaceva a nessuno della famiglia. In terza media, per promuovermi, i professori mi fecero cantare la Marsigliese. Quelli sono posti in cui si nasce per non essere niente.

«Ero il più grande, quello che, quando il papà si ammala, finisci le medie e vai a lavorare. Un giorno la professoressa d’italiano mandò a chiamare mamma, che subito mi diede due schiaffoni: era certa che la prof si voleva lamentare. Invece quella le disse che, quando scrivevo, non sembravo io: la dialettica era imperfetta, ma scrivevo pensieri più grandi di me. Disse: è un poeta che non sa parlare. È così che s’intitola il disco che esce: Il poeta che non sa parlare. Voleva farmi continuare gli studi, ma dovetti prendere il posto di papà malato, a vendere gelati alla stazione. Lì cantavo e la gente mi svuotava il banchetto. Poi iniziai a cantare ai matrimoni».

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