“Sono devoti al proprio corpo e hanno una fede irrazionale nel fisico. Tante notti da soli coi telefonini… e così finiscono nella tana del coniglio della pseudo-medicina e della disinformazione”
“Nell’immaginario popolare, il prototipo del no-vax occidentale è una sorta di lunatico marginale, un idiota del villaggio, forse anche un estremista politico. Ma gli scettici sui vaccini dello sport professionistico ci ricordano che la radicalizzazione e il mito travalicano i confini del privilegio e della socioeconomia“.
Così Jonathan Liew sul Guardian riflette sui tanti – “i più famosi sono solo la punta dell’iceberg” – atleti professionisti contrari al vaccino per il Covid. Un fenomeno che per l’editorialista ha a che fare con l’ignoranza e la coltivazione dell’ego di giovani spesso disinformati e annoiati, che purtroppo finiscono per essere anche un esempio.
Liew se li immagina “così vulnerabili a un certo tipo di wormhole: tutte quelle lunghe notti in strane stanze d’albergo con nient’altro che un telefono, una connessione wifi e una curiosità rabbiosa e non placata“. E aggiunge: “in effetti, se tu fossi un sinistro cospirazionista alla ricerca del tuo prossimo traguardo, potresti fare molto peggio dell’atleta professionista: un giovane altamente impressionabile con sete di conoscenza e autoedificazione, ore di tempo libero e relativamente pochi contatti con la società tradizionale”.
Stefanos Tsitsipas pochi giorni fa ha detto: “Per me il vaccino non è stato testato abbastanza, è nuovo, ha alcuni effetti collaterali. Semplicemente non vedo alcun motivo per cui uno della mia fascia d’età debba essere vaccinato. Dovrebbe essere somministrato alle persone anziane. Per noi giovani penso sia bene far passare il virus, perché costruiremo l’immunità”.
Segue, il tennista greco, le uscite in assetto variabile dei suoi colleghi Djokovic, Svitolina, Sabalenka e poi i calciatori e tanti altri. Un allenatore ha recentemente dichiarato a Sports Illustrated che stima che solo il 30% circa dei giocatori sia stato vaccinato.
“Essere un atleta professionista spesso implica coltivare una relazione stranamente intensa e devota con la propria persona e col proprio corpo. Spesso richiede una fede irrazionale, quasi sovrumana nella propria capacità di recupero fisico. Di conseguenza, molti atleti sono sia ossessionati da ciò che mettono nel loro corpo sia voraci nella loro ricerca per migliorarlo e mantenerlo, un cocktail che porta molti nella tana del coniglio della pseudo-medicina e della disinformazione”.