Ha numeri da record per il tennis italiano, oltre a una sottovalutata intelligenza tennistica, eppure non sembra scaldare i cuori
Da quando nel 1973 sono nate le classifiche ufficiali nessun italiano è stato più settimane di Matteo Berrettini nella top ten, ma gli appassionati di tennis e dello sport in generale parlavano pochissimo di lui, o comunque molto meno di quanto i suoi risultati meritassero. Al romano non era bastato raggiungere l’ottava posizione della classifica mondiale (solo Adriano Panatta ha fatto meglio negli ultimi 48 anni), essere il primo tennista azzurro a raggiungere le semifinali in uno Slam giocato sul cemento (gli Us Open 2019) e il primo in assoluto a vincere una partita alle ATP Finals. A Matteo non era stato nemmeno sufficiente vincere tornei e sconfiggere colleghi nella top ten per essere amato.
Si sa che il successo non si perdona a nessuno, ma con lui si è stati ancora più inflessibili: c’era sempre qualcuno a storcere il naso sul suo effettivo livello, a notare un po’ di fortuna avuta nei tabelloni, a sottolineare la fragilità fisica o il gioco non sempre spettacolare del romano. C’era anche – assurdo ma vero – chi lo dava già per vecchio, nonostante Berrettini avesse compiuto venticinque anni solo tre mesi fa.
Nel 2021 erano tantissimi ad aspettarlo sulla riva del fiume per dire: “Avete visto? quel che ha fatto era casuale, è tornato tra i comprimari”.
Invece, Matteo ha giocato molto bene in Australia, ha vinto il torneo di Belgrado, raggiunto a Madrid la prima finale in un Masters 1000 e messo in difficoltà nei quarti del Roland Garros anche Djokovic, poi vincitore del torneo. Sull’erba, dove già aveva dimostrato di trovarsi molto bene, ha trovato la definitiva consacrazione: è prima diventato due settimane fa il primo italiano a vincere il prestigioso torneo del Queens e poi il primo tennista azzurro a raggiungere la semifinale a Wimbledon, il torneo di tennis più prestigioso al mondo, 61 anni dopo l’ultimo a esserci riuscito, Nicola Pietrangeli.
Adesso è di dieci la serie aperta di vittorie di Matteo sull’erba, ma per sminuire quella che i numeri fanno definire un’impresa per un tennista italiano, ci sarà chi dirà che in questi due tornei londinesi Berrettini ha battuto un solo top 20, come se nel tennis attuale fosse facile vincere anche solo due partite di fila a livello ATP o diventi una colpa avere un po’ di fortuna e una classifica ottima ad aiutare nei cammini nei tabelloni.
Venerdì pomeriggio il nostro giocatore sarà in semifinale contro un avversario molto insidioso come Hurkacz, tanto sconosciuto alle grandi masse quanto bravo su questi campi: impossibile dire come finirà. La speranza però è che domani Matteo continui a mettere in vetrina, oltre alla consueta esplosività con dritto e servizio (e sensibilità con la palla corta), anche i netti miglioramenti tecnici mostrati negli ultimi mesi e una troppo sottovalutata intelligenza tennistica da usare come ago della bilancia nei momenti decisivi delle partite.
Sognare per domenica prossima una storica doppia finale londinese tra calcio e tennis con protagonisti italiani in campo non è più così folle: chi lo avrebbe mai detto.