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L’occasione persa da Hamsik e dal Napoli, fare il regista gli avrebbe allungato la carriera

Il primo tempo di Svezia-Slovacchia è stato illuminante. Ha la geometria e la visione per quel ruolo. Marek scelse la Cina e il Napoli non lo ha mai rimpiazzato

L’occasione persa da Hamsik e dal Napoli, fare il regista gli avrebbe allungato la carriera

«Occhio non vede, cuore non duole».

Potessimo condensare l’addio di Marek Hamsik al Napoli in un proverbio, con molta probabilità sarebbe proprio questo.

Gestita giustamente senza troppe tragedie, la cessione di Marechiaro ha finito con l’essere emotivamente attutita da una serie di circostanze, dalla mancanza di un vero e proprio saluto ad una pandemia che ha finito col dare la sensazione di tenere in ostaggio il tempo.

Quando infatti il 2 febbraio del 2019 Hamsik salutava a sorpresa il San Paolo tagliando a metà il rettangolo verde con uno straordinario lancio per José Callejon, allo stadio c’era pochissima gente. La tifoseria era in pieno delirio d’onnipotenza e considerava fallimentare il secondo posto. Poi meno di un anno dopo sarebbe arrivato, proprio dalla terra dove l’ex capitano aveva deciso di arricchirsi, un virus che ha sconvolto il mondo.

Anche la stessa destinazione cinese che Marek scelse all’epoca, comunque, fece la sua parte nel consentire all’occhio di non vedere, vista la sostanziale inappetibilità della Super League della Terra del Dragone che almeno nel nostro Paese non è trasmessa né seguita da nessuna televisione.

E così, visto che non si vedeva su un campo di calcio di un certo livello da un po’ di anni (al di là della brevissima esperienza svedese preparativa ad Euro 2020) c’era almeno dalle nostre parti una certa curiosità verso la verifica delle condizioni di Hamsik. O almeno c’era, specie per quella generazione cresciuta a cresta alta e col diciassette stampato sul cuore, un briciolo di voglia di capire se fosse ancora un calciatore e poi di gustarsi eventualmente un po’ del suo calcio, per ricordarsi com’era e per permettere all’occhio di vedere ancora una volta.

In realtà sono bastati quarantacinque minuti di Svezia – Slovacchia (partita poi persa dagli slovacchi) per alimentare una qualche forma di rimpianto. Perché il cuore, insomma, dolesse un po’.

Attenzione: non è nostalgia, ma rimpianto. Sono due cose molto diverse.

La nostalgia fine a se stessa è talvolta un esercizio solo romantico e puramente retorico, e comunque caratterizzato dall’amara consapevolezza di non poter riavvolgere il nastro: l’Hamsik dei tempi d’oro, in grado di andare in doppia cifra ogni anno e di strappare il campo da mezzala o da trequartista con i suoi straordinari inserimenti con e senza palla e coi suoi proverbiali coast-to-coast, aveva forse effettivamente esaurito la sua spinta propulsiva, e questo è abbastanza certo.

Il calciatore intelligente, geometrico ed elegante, che sembra avere occhi pure dietro la testa, però, c’è ancora. Tanto che il telecronista di Sky l’ha ripetuto più volte durante tutta la prima frazione di gioco della partita in questione.

È forse proprio per queste caratteristiche innate, dalla capacità di mettersi sempre nella posizione giusta per ricevere il pallone sapendo già cosa farne a quella di dosare poi col contagiri il servizio al compagno, che ancora insiste profonda la convinzione che quel vestito che Ancelotti aveva provato a cucire addosso allo slovacco nei sei mesi di collaborazione (ricordati recentemente con piacere da Marek stesso che ha definito Carletto un uomo eccezionale) fosse l’unico vestito in grado di allungargli decisamente la carriera, e magari addirittura di fargli vivere una seconda giovinezza calcistica.

Qualche segnale positivo c’era stato. Al di là di quella simbolica apertura con cui ha salutato il calcio italiano, è da ricordare con piacere la partita eccezionale che Hamsik giocò in quella posizione più arretrata al Parco dei Principi di Parigi: 85 palloni giocati, 92% di passaggi riusciti e 11 palloni recuperati alla presenza 520 con gli azzurri.

Una punta di rimpianto, quindi. Che poi riguarda tutta l’esperienza ancelottiana del Napoli, un’enorme occasione non sfruttata, ma che riguarda pure la parabola dello storico diciassette azzurro.

Una parabola clamorosamente discendente, vista l’infelicità della scelta del Dalian ed il calcio di categoria clamorosamente più bassa che l’ha accolto negli ultimi mesi, dal Goteborg al Trabzonspor.

Hamsik ha deciso (forse per soldi, forse per stanchezza, ed è sicuramente legittimo) di non seguire fino in fondo la strada che qualche anno fa Ancelotti aveva tracciato per lui, smettendo poi di fatto di giocare a calcio a trent’anni, e il Napoli ha perso all’epoca (complice pure l’addio di Jorginho di qualche mese prima) un calciatore che fondamentalmente non è mai riuscito a sostituire degnamente.

Fabian e Zielinski (così come Elmas) sono due mezzali particolarmente tecniche e pure decisamente classose, ma neanche lontanamente dotate delle geometrie, della precisione e della sagacia tattica di Hamsik. Pure con Demme e con l’oggetto misterioso Lobotka è impossibile – e per caratteristiche e per autorevolezza – avventurarsi in paragoni di alcun tipo.

Qualcuno, insomma, fa ancora della facile ironia su Ancelotti e sul suo progetto (poi naufragato) di fare con Hamsik quello che aveva fatto con un giovanissimo Pirlo. Eppure basterebbe guardare il primo tempo di Slovacchia – Svezia per rendersi conto, se ancora ce ne fosse bisogno, che Carletto così fesso e rimbambito non era.

E che entrambi (il Napoli ma soprattutto Marechiaro) persero una bella occasione.

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