“Abbiamo assistito al dramma dei giornalisti del tennis costretti a dover scrivere un articolo interamente con le loro parole…”
Alla fine Naomi Osaka ha preferito ritirarsi dal Roland Garros, piuttosto che vedersi costretta a cedere sul principio: aveva deciso che non avrebbe partecipato alle conferenze stampa. L’organizzazione del torneo, e poi in accordo con gli altri 3 Grand Slam in un comunicato congiunto, ha preso la questione di petto: o parli coi giornalisti o ti cacciamo. Ha scelto di andar via lei, che è la numero due al mondo del tennis femminile.
La levata di scudi sulla questione era stata generale: “Fa parte del lavoro, non ti lamentare”, le hanno detto tutti, persino i suoi stessi colleghi. I giornali inglesi in particolare hanno sottolineato la questione, in Italia qualche trafiletto appena. Ma oggi Jonathan Liew sul Guardian legge la vicenda da un altro punto di vista: noi giornalisti, scrive, non siamo angioletti. E la conferenza stampa è un rito che ha pochissimo significato.
“Per alcuni la conferenza stampa è chiaramente una cosa sacra. Potresti prenderci la vita, ma non ci negherai mai la nostra possibilità di chiedere a un atleta ‘come ti sei sentito oggi là fuori?’ “.
Liew sfotte apertamente la seriosità dei giornalisti:
“In tutto il mondo, la stampa libera è sotto un attacco senza precedenti da parte di governi autoritari, giganti della tecnologia e disinformazione online. In molti paesi i giornalisti vengono letteralmente uccisi per aver fatto il loro lavoro. Nel frattempo, a Parigi, i giornalisti del tennis stanno affrontando la prospettiva di dover costruire un articolo interamente con le loro parole…“.
Il problema, per l’editorialista del Guardian, non è Osaka o i giornalisti. Ma il concetto stesso di conferenza stampa, “che se ci pensate è un’idea piuttosto strana, che essenzialmente fallisce nella sua funzione centrale. La grande presunzione della conferenza stampa è che sia fondamentalmente una linea diretta dall’atleta al pubblico in generale, che noi umili scribi non siamo che gli occhi e le orecchie fedeli della gente nella terra degli dei. Nel caso in cui non l’aveste notato, questo non è più vero già da un po’. Gli atleti ora hanno il loro filo diretto con il pubblico, e spoiler: non siamo noi. Per quanto difficile da credere, la funzione di Osaka come intrattenitrice e cartellone pubblicitario aziendale è subordinata al fatto che lei giochi a tennis a un’ora stabilita, piuttosto che essere costretta a sedersi in una stanza senza finestre spiegandosi a una stanza piena di uomini di mezza età”.
“E così la moderna conferenza stampa non è più uno scambio significativo, ma in realtà una transazione del minimo comune denominatore: un gioco cinico e spesso predatorio in cui l’obiettivo è estrarre il maggior contenuto possibile dal soggetto in questione. Pettegolezzo: bene. Rabbia: bene. Lacrime: buono. Tragedia personale: benissimo. Nel frattempo il giovane atleta, spesso ancora preso dalle emozioni della vittoria o della sconfitta, dovrebbe rispondere alle domande più intime nell’ambiente meno intimo, davanti a una schiera di sconosciuti, dietro un pezzo di cartone sponsorizzato”.