“Sotto Guardiola, il sistema è re e Guardiola è il sistema. I giocatori alla prima difficoltà aspettano nuove istruzioni, come telecomandati”. Poi arriva uno come Kanté, e distrugge tutto.
“Gli occhi di Kyle Walker”. Che guardano Guardiola, e che chiedono disperati cosa stia andando storto. Come sia possibile che il Chelsea stia vincendo quella partita e il City no. Perché, semplicemente, non era programmato che andasse così. E così i suoi compagni di squadra che pendono dalle labbra del tecnico-guru, in attesa di essere ri-programmati, in attesa di nuove istruzioni. Come se fossero i protagonisti di un calcio robotico, telecomandati.
E’ la scena descritta nell’attacco di un pezzo lunghissimo in cui Rory Smith, sul New York Times, celebra l’arte del Chelsea – e di un suo giocatore in particolare: Kanté – di distruggere il pallone in vitro, progettato da Guardiola in una mania ossessiva di controllo. Che poi finisce per perdere la Champions League prendendo un gol a campo aperto.
La descrizione è perfetta:
“Guardiola risponde con un torrente di istruzioni, come fa sempre. Non è mai a corto di idee. Di solito, le passa all’uno o all’altro dei suoi terzini – i giocatori più vicini a lui – e così le diffonde attraverso il resto della squadra. Questa volta, però, è diverso. Walker vede le labbra di Guardiola muoversi. Può sentire le parole sopra il frastuono dei tifosi esultanti del Chelsea. Ma c’è un’espressione di vuota incomprensione sul suo volto, come se Guardiola si fosse rivolto a lui accidentalmente in catalano o avesse impartito le sue istruzioni come un rap. Walker corruga la fronte e fissa, intensamente, il suo allenatore, nel vano tentativo di dare un senso a tutto”.
Poi Walker prende il pallone e lancia il pallone lontano.
“Il Manchester City, sinonimo di raffinatezza, pianificazione e comando sotto Guardiola, l’eccezionale stratega della sua generazione, la grande mente moderna dello sport, ha appena fatto ricorso all’ultimo lancio di dadi del calcio, l’ultima risorsa dei dannati: la rimessa laterale lunga”.
Per il NYT “nella partita più importante della storia del club, nel suo tanto atteso ritorno alla finale di Champions League, il sistema che Guardiola ha così ossessivamente e scrupolosamente codificato per mezzo decennio non ha semplicemente fallito. Si è completamente rotto”.
“Molto di ciò che rende il City così brillante non è un virtuosismo spontaneo e spontaneo. È stato tutto provato, affinato e perfezionato. Non è improvvisazione. È programmazione. E così quando le cose vanno male, quando il piano sembra non funzionare, il riflesso dei giocatori di Guardiola è chiedere ulteriori indicazioni. È difficile guardare City per un certo periodo di tempo e non notarlo. Quando si presenta qualche problema, il primo istinto è sempre quello di guardare in panchina, per essere aggiornati. Non c’è spazio reale per l’interpretazione personale. Sotto Guardiola, il sistema è re e Guardiola è il sistema“.
Smith scrive del calcio nel 21° secolo come quello del “culto del supermanager: non solo Guardiola, ma anche José Mourinho, Jürgen Klopp e Antonio Conte, Julian Nagelsmann e Mauricio Pochettino e Thomas Tuchel”. Tutti credono che sia l’allenatore che il tocco magico, che vincerà chi ha il miglior sistema. E poi arriva Kanté.
“Con regolarità metronomica, quasi inquietante, il City ha costruito attacchi solo per scoprire che nel momento chiave, Kanté è lì, proprio nel posto giusto per vincere uno scontro, all’angolo giusto per bloccare un passaggio, proprio al momento giusto per interrompere il progetto. A volte, sembrava che qualcuno avesse passato a Kanté il copione del City. Non aspetta istruzioni dalla panchina. Kanté va dove c’era il pericolo e lo elimina. Kanté è stato, a suo modo, non meno decisivo di Lionel Messi nelle finali del 2009 e 2011, o Cristiano Ronaldo nel 2014″. “Ha fatto quello che fanno i grandi centrocampisti, ha cambiato forma quando il flusso del gioco lo richiedeva”.
“La differenza, chiude il pezzo – è che una squadra aveva Kanté e l’altra no”. O, meglio: “Anche nell’era del superallenatore, non sono sempre i dettagli tattici da soli a spiegare un risultato. Il sistema non è sempre re. Un gioco può essere definito dalle idee, ma può anche essere definito dai giocatori”.