Se uno segna gol come quello extra-lusso a Cagliari, se è capace di tanta destrezza, perché poi ritorna nell’ombra?
(tratto dal Guerin Sportivo)
Piotr Zielinski mi fa impazzire. È uno di quei giocatori che mi prende la malinconia, che fino a quando non mi lascia più, la mia fede è troppo scossa ormai. Mi aiuta Ornella Vanoni. Piotr Zielinski, un giocatore che non vuole diventare Zielinski. Una crisalide che non diventa farfalla. Un campione annunciato che non diventa campione. Rimane un progetto di fuoriclasse.
Zielinski ha ormai 27 anni. Da cinque gioca nel Napoli. Per le qualità tecniche che madre natura gli ha fornito dovrebbe esserne il condottiero, il faro luminoso, la meraviglia e il leader.
Lanciato da autorevoli pareri, considerazione e stima nel firmamento delle stelle del calcio, è una stella tremula che non rivela tutta la sua luce. È un buco nero che trattiene la sua materia prima, la classe.
“Uno dei migliori centrocampisti al mondo” disse una volta Zibi Boniek e non per solidarietà patriottica, polacco come Piotr. Guidolin quando l’ebbe all’Udinese disse: “È un trequartista, un classico numero 10, anche mezz’ala, alle spalle delle punte rende meglio”. Se ne era invaghito Sarri all’Empoli e lo portò a Napoli: “Dal punto di vista tecnico, Zielinski è fenomenale, può giocare nel ruolo che vuole, ma ancora non riesce a trasformare in gol le sue potenzialità, potrebbe diventare come De Bruyne”.
Ultimamente Gattuso ha detto: “Zielinski danza col pallone, ha tutto per diventare un top-player”. Ha tutto, ma è avaro nel rivelare il suo tutto. Perciò Piotr Zielinski mi fa impazzire. Mi lascia secco. Accidenti a Piotr.
Arrivò nel Napoli nel 2016. Aveva 22 anni. Arrivò nel regno di Marek Hamsik che di anni ne aveva 29 e da nove campionati era la “stella” azzurra, giocatore di tecnica raffinata, grande visione di gioco, gol esaltanti che metteva a segno con leggerezza, il pallone carezzava la rete.
Zielinski, voluto da Sarri, comparve in 36 partite, ma ne giocò solo dieci per intero, 18 volte entrò dalla panchina, 8 volte fu sostituito. Nel 4-3-3 di Sarri, giocò spesso in coppia con Hamsik sulla linea mediana che aveva al centro Jorginho. Sarri li minacciò entrambi: “Se fate errori in fase difensiva, non vi faccio giocare insieme”. Hamsik era ormai un veterano e non fece una piega. Zielinski si tenne dentro il magone. Ascoltava molto, parlava poco. Ebbe il suo giorno di gloria quando batté Handanovic dopo solo due minuti di gioco e il Napoli travolse l’Inter 3-0 al San Paolo.
Un tipo educato, Piotr Zielinski, che non deve avere gradito molto il secondo anno con Sarri perché fece ancora 36 apparizioni, però le partite per intero calarono a sei e furono più le volte che entrò dalla panchina (22, diciassette volte sostituendo Hamsik). Era un vice-Marek? Otto volte fu sostituito. Dentro, fuori, dentro, una vita da pendolare. Fu questo a frenarlo, a fargli nascondere il talento, a sentirsi un precario, ad adattarsi?
Accidenti, ma alla terza stagione azzurra, con Ancelotti, furono ancora 36 le apparizioni sul campo di Zielinski, però 23 volte giocando partite piene. Hamsik era al tramonto (Marek giocò solo tredici gare) e certamente Simone Verdi, pur costato 24,5 milioni, non poteva fargli ombra. Piotr divenne un titolare a tutti gli effetti e, secondo il “Daily Mirror”, il Liverpool offrì al Napoli 65 milioni per averlo. Insomma, era il momento di diventare Zielinski, il talento annunciato, l’oroscopo favorevole.
Nato sotto il segno del Toro, gli astrologi dissero che il pianeta Venere gli trasmette “bellezza e romanticismo” e il pianeta Mercurio “le qualità per fare breccia nel campo professionale”. Ma il giorno in cui Piotr disse: “Non ho nessun tatuaggio, non li faccio perché mia mamma non vuole”, quel giorno pensai accidenti a te, Piotr, che non vuoi proprio venir fuori, il calcio non ti regala niente se non esci dal grembo di mamma.
Anche Hamsik era stato un caratterino freddo, ma s’era pur fatta una cresta da mohicano, accuratamente realizzata da Rino Riccio, hair stylist di Pozzuoli, e aveva venti tatuaggi incisi per tutto il corpo dal tatuatore del quartiere Arenella Enzo Brandi e, una volta, aveva voluto provare l’ebbrezza del volo lanciandosi col paracadute da tremila metri. E Piotr Zielinski? Tranquillo, educato, delizioso, ma niente per tirare fuori la sua personalità, niente follie dal barbiere Costantino Intemerato, campione del mondo di taglio e acconciatura a Quarto Flegreo, un comune a nord di Napoli nelle vicinanze di Castelvolturno, la sede degli allenamenti azzurri. Niente. La quieta felicità con Laura Stowiak, una coppia esemplare, e il matrimonio nella chiesa gotica di Zabkowice Slaskie, dove Piotr è nato, nel sud della Polonia, che ha una torre pendente, la Krzywa Wieza, la “torre storta”, alta 34 metri.
Mi fa proprio impazzire Piotr Zielinski, annunciato come il nuovo Pavel Nedved, scoperto e lanciato da Zmuda e portato in Italia da Andrea Carnevale prima che Rudi Voeller lo potesse rapire per il Bayer Leverkusen quando aveva solo 17 anni. L’Udinese lo prese per 100mila euro cedendolo al Napoli a 15 milioni, un tesoro di ragazzo che aveva un suo idolo, Zinedine Zidane, e avrebbe voluto imitarne la famosa “veronica”.
Non manca nulla a Zielinski. Calcia il pallone indifferentemente col piede destro e con quello sinistro, è abile nello stretto, spesso supera l’avversario con un “tunnel”, ha un tiro secco e forte dalla distanza, fisico agile. Mi ha incantato a Cagliari col secondo gol quando, fra tre/quattro difensori sardi, sul cross di Di Lorenzo, sinistro-destro-sinistro, rapido controllo in un paio di metri e palla in rete. Un gol da copertina. Il talento finalmente alla luce. Il coniglio estratto dal cilindro. Fammi impazzire così, Piotr Zielinski. Lampeggiami con la tua classe. Se uno fa un gol del genere extra-lusso, se è capace di tanta destrezza, perché, Piotr, ritorni nell’ombra? Li ricordo bene i due gol rifilati al Milan alla seconda giornata di tre campionati fa, il Napoli sotto di due reti e la rimonta di Piotr con due sventagliate dal limite, da fuoriclasse autentico, una “botta” di sinistro e poi un destro al volo. La sua conclusione più tipica, dal limite dell’area. Perché, Piotr, non la ripeti, non la cerchi, non l’insegui? Segna, Zielinski, e fa appena un gesto di soddisfazione, non salta, non balla, non alza le braccia al cielo. Piotr Zielinski vuol farmi proprio impazzire.
Quest’anno, Zielinski sta giocando centrale nei tre alle spalle della prima punta, proprio in quel ruolo di “trequartista, classico numero 10, anche mezz’ala, e alle spalle delle punte rende meglio” come diceva Guidolin, il maestro pacato di Castelfranco Veneto. Rende meglio? E, allora, vai Piotr Zielinski, svelati, conquistami, affascinami. Non farmi impazzire.
I redattori delle “pagelle”, presi dalla grazia, dalla tecnica sopraffina, dagli educati gesti atletici, danno a Zielinski sempre 6. L’insostenibile leggerezza della sufficienza. Ma voglio di più di quello che vedo, voglio di più di questi anni amari. È Pino Daniele. Ascolta, Piotr. Fatti un tatuaggio, fatti coraggio. Diventa Zielinski.