A Repubblica il coordinatore della Protezione civile: «Ci voleva tanto a chiedere agli influencer di spiegare i pericoli ai ragazzi? Il governo non lo ha fatto»
Su Repubblica un’intervista ad Agostino Miozzo coordinatore della Protezione Civile e membro del Comitato tecnico scientifico. Si esprime su scuola e trasporti alla luce dell’aumento dei contagi degli ultimi giorni.
«Partiamo dai trasporti e guardiamo in faccia il problema. A scuola, ne siamo convinti, i ragazzi sono sicuri e per alleggerire la pressione sui mezzi pubblici non dobbiamo togliere studenti dalle classi e mandarli alle lezioni da casa, ma aumentare il servizio di trasporto. È possibile. Lo diciamo da aprile, c’è traccia nei verbali. Abbiamo migliaia di mezzi fermi per il crollo del turismo e non li riutilizziamo per gli spostamenti urbani e regionali. Perché?»
Il Cts, dichiara, aveva ammonito sulla necessità di scaglionare gli ingressi a scuola, ma nessuno ha preso davvero in considerazione la cosa.
«I tecnici del Comitato scientifico hanno preparato tabelle sui flussi precise al secondo: gli ingressi in fabbrica degli operai, l’entrata degli studenti, poi la pubblica amministrazione. Mi chiedo per quale motivo nessun mobility manager delle grandi città abbia preso in mano queste tabelle per costruire un orario compatibile per tutti, senza incroci, senza affollamenti. Le uscite delle metropolitane con i pendolari gomito a gomito sono questioni di mezze ore sbagliate, non di più. Solo che basta mezz’ora di assembramento per far girare il virus».
Sui contagi a scuola:
«Su un piano scientifico nessuno, dopo un mese, può dire con certezza cosa accade dentro le scuole. Siamo ragionevolmente convinti che i contagi avvistati in aula arrivino dall’esterno, ma non c’è un testo sacro che lo certifichi. A marzo chiudemmo le scuole perché da sole valevano una crescita dello 0,4 dell’indice di contagio, ma poi siamo intervenuti con i distanziamenti, le mascherine, la ventilazione».
Miozzo pone l’accento sulla necessità di trovare un altro linguaggio per parlare ai giovani e indicare loro quali sono i comportamenti virtuosi.
«Se non impariamo a comunicare con i giovani, usando il linguaggio dei giovani in quella che è la più grande emergenza mediatica della storia, la situazione si aggraverà. I ragazzi si credono invincibili, e questo è dell’età, ma noi dobbiamo trovare un modo per parlare a una generazione. Siamo rimasti ai comunicati stampa del Novecento, dobbiamo andare su Instagram, convincere chi ha tra i dodici e i ventiquattro anni».
Continua:
«Abbiamo sperimentato, da febbraio a maggio, il peso e la violenza delle sciocchezze scritte sui social. Mi chiedo, e chiedo al governo, è così difficile prendere cinque influencer con cinque milioni di follower a testa, far loro un rapido corso di virus e comportamenti antivirus e poi chiedere di spiegarlo, a modo loro, al pubblico che li segue? Oggi offriamo divieti da proibizionismo Anni Trenta, il contrario di quello che dobbiamo fare. Spiegare, spiegare».
Sui tamponi:
«La verità è che sui tamponi vige l’anarchia. Non c’è più un pediatra che ti visiti: vai con il test. So di un ragazzo non udente che, per un raffreddore avvistato in un convitto romano, da cinque giorni è in isolamento. Dovrei dire, sequestrato. I numeri sui tamponi non li controlla davvero nessuno»