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Barenboim: «Il calcio è cultura? La parola cultura ha perso il suo valore. Oggigiorno tutto è cultura»

Il grande direttore d’orchestra alla Süddeutsche: “Una squadra di calcio è un’orchestra da camera, non sinfonica. L’assolo di Maradona in Messico è indimenticabile”

Barenboim: «Il calcio è cultura? La parola cultura ha perso il suo valore. Oggigiorno tutto è cultura»

Daniel Barenboim è considerato un genio dei nostri tempi. Dal 1992 è direttore artistico e direttore musicale della Staatsoper Unter den Linden di Berlino. È uno dei più grandi direttori d’orchestra di sempre. E in una lunga intervista alla Süddeutsche Zeitung racconta della sua grande passione per il calcio. Partendo da un presupposto abbastanza banale: la squadra è un’orchestra. Ma lo sviluppo del concetto è tutt’altro che scontato.

Tanto per cominciare Barenboim accosta la musica sinfonica ad una partita di calcio per il pubblico: stadio e teatro, stessa cosa, più o meno:

Non mi piacciono le sale vuote e gli stadi vuoti. E’ terribile. Sia nel calcio che nella musica, nei concerti o nelle opere: il punto è stabilire una relazione tra gli artisti e un pubblico attivo. Gli stream così come li stiamo vivendo adesso, o le trasmissioni tv sono meglio di niente. Ma sono qualcosa di molto diverso dal contatto diretto”.

Anche se l’elevazione del calcio a “cultura” lascia il direttore un po’ perplesso:

“Le grandi squadre si sono sempre distinte per uno stile comune. Ma per questo davvero si può parlare di calcio come cultura? La domanda è: come definisci la cultura? La parola cultura ha perso il suo valore. Oggigiorno tutto si attesta come cultura. Anche la cucina, o le macchine”.

César Luis Menotti diceva che le squadre di calcio sono come le orchestre.

“Bello. Anche se direi: ricordano un’orchestra da camera, non un’orchestra sinfonica. Ci sono solo undici giocatori in una squadra; un centinaio di musicisti suonano in un’orchestra sinfonica. La cosa comune che vedo tra un’orchestra e una squadra di calcio è che qua e là, quando sono brave, si mescolano grandi individualità. Che ci sono personalità chiave qui come là. In entrambi i casi, quello che viene chiamato spirito di squadra nel calcio è imperativo. Un attaccante non può correre in avanti, a sinistra o a destra come vuole. Deve prestare attenzione ai suoi compagni, chiedersi come si può fare un lavoro insieme. Questi sono momenti in cui il calciatore potrebbe dover reprimere il suo istinto. Non deve pensare: io voglio segnare il gol. Deve pensare: devo fare questo per la squadra. E lo avete visto più e più volte con i grandi calciatori individuali; che si chiamino Pelé, Maradona o Messi. Avevano un senso orchestrale”.

Ed ecco che allora il grande allenatore diventa un direttore d’orchestra:

“Uno dei compiti più importanti e difficili di un direttore d’orchestra è creare omogeneità su armonia, ritmo o sfumature. La difficoltà fondamentale è trovare un equilibrio tra la necessità di essere autorità da un lato e di essere amato dall’altro. Non è facile per tutti accettare che qualcuno abbia autorità e quindi il diritto di dire: non si gioca in quel modo, ma in quell’altro modo. Ora viviamo in un mondo che è diventato molto sensibile su queste cose. Non siamo ancora del tutto arrivati, ma presto ci arriveremo, al momento in cui un direttore d’orchestra dice a un flautista: “Per favore, suona un po’ più forte queste note”, e il flautista risponde: Non voglio. Ma la musica lo esige anche se è autocratico”.

Tornando ai grandi solisti, Barenboim ricorda il gol di Maradona all’Inghilterra, ai Mondiali 1986:

Per me è stato come guardare un pianista che suona molto più velocemente, con molta più energia, con colori più brillanti di tutti gli altri. Ha travolto i suoi compagni. L’assolo di Maradona è indimenticabile, per me”.

 

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