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Aldo Serena: “La costruzione dal basso quando non serve è snervante. La moda della difesa a tre passerà”

A Repubblica: “Mai avuto un procuratore. Non volevo essere venduto come una merce. Oggi il tifoso è più un consumatore: spendi, compra ma stai distante. Stimo moltissimo Gattuso, sta facendo solo cose giuste”

Aldo Serena: “La costruzione dal basso quando non serve è snervante. La moda della difesa a tre passerà”

Su Repubblica una lunga intervista ad Aldo Serena. Parla del passato, ma anche del calcio attuale e del campionato che sta per iniziare.

“Immagino una lotta a tre fra Juve, Inter e Napoli. Stimo moltissimo Gattuso, sta facendo solo cose giuste“.

Paragona giocatori ed allenatori di oggi a delle multinazionali.

“Ormai è definitivamente sdoganato il tifo. L’iper-professionismo, che viene dall’Nba e in generale dagli sport americani, lascia poco spazio ai sentimenti. I giocatori e gli allenatori oggi sono multinazionali, ogni calciatore è un brand, alcuni di loro sui social network hanno più follower dei club in cui giocano”.

Racconta di non aver mai avuto un procuratore.

“Mai avuto. Ho sempre trattato personalmente i trasferimenti. Così facendo, ho sicuramente perso soldi. Ma ci tenevo a relazionarmi direttamente con presidenti e allenatori. Non volevo essere venduto come una merce, per quel che non ero. Volevo mettere le cose in chiaro: se mi compri, prendi uno che sa stare in mezzo all’area, posso partire anche dall’esterno ma faccio più fatica, soprattutto negli scatti veloci, in ogni caso non mi tirerò mai indietro. Lo ho detto chiaro a Boniperti, Galliani, Pellegrini, Moggi”.

Su Moggi:

“Per la mia esperienza posso dire che è una persona attenta, che ti mette a tuo agio. Lo incontrai al Torino. Al tempo facevo il militare a Bologna, avanti e indietro fra campo e caserma. Mi mise a disposizione un’auto con l’autista, che mi veniva a prendere direttamente in Emilia Romagna, o che mi caricava in stazione quando scendevo dal treno in divisa”.

Parla degli allenatori avuti in carriera e indica chi gli sarebbe piaciuto che lo avesse allenato.

Senza dubbio Jurgen Klopp. È un istrione, un uomo intelligentissimo e affascinante. È imbattibile nell’allentare la tensione, nel prendere le responsabilità su di sé. E il suo gioco è meraviglioso, sempre verticale, allargato agli esterni. In Italia ritrovo tracce del suo approccio nell’Atalanta di Gasperini. Tanto coraggio, pochi passaggi per andare in gol”.

I club hanno ancora un’identità propria? Risponde:

“È molto molto difficile mantenerla, soprattutto nelle grandi realtà. L‘ultimo baluardo ormai è il legame fisico con la città, che non va dato per scontato e va difeso. Siamo sicuri che un nuovo proprietario, per necessità di stadio e convenienza logistica, non possa un giorno spostare l’Inter a Udine, la Sampdoria a Lucca o la Spal nel Lazio? Sembra uno scenario apocalittico, ma negli sport statunitensi è successo. La mia speranza è che invece si sviluppi un percorso inverso, di recupero d’identità. L’identità aiuta a vincere e lo dimostrano storie sportive come il Barcellona, costruito attorno a un gruppo di giocatori cresciuti lì, o la Juventus, quasi da sempre in mano alla stessa famiglia”.

Sul ruolo del tifoso nel calcio moderno:

Purtroppo il tifoso è sempre più un consumatore: spendi, compra ma stai distante. Mio zio che abitava a Inverigo mercoledì e giovedì veniva ad Appiano Gentile a trovarmi, bevevamo il caffè, era bello per me e per altri calciatori. Visitavamo gli Inter Club, c’era un rapporto. Oggi i calciatori sono isolati, vivono in una bolla, anche prima del Covid. Anzi, ho l’impressione che molti giovani giocatori trovino gratificante il fatto che i tifosi possano guardarli solo da lontano. Si sentono fighi. Ma è tutto finto. Noi coi tifosi parlavamo, stavamo ad ascoltarli, diventavamo amici“.

Racconta cosa gli ha dato il calcio.

“Mi ha fatto conoscere tantissima gente. Mi ha fatto viaggiare per il mondo, e ha realizzato il mio sogno di bambino. Oggi i ragazzini giocano per i denari e per la fama. Cose che noi avevamo, ci mancherebbe, ma ce ne accorgevamo poco, alcuni di noi non se ne accorgevano per nulla. Oggi non è più così. È tutto più nervoso. I genitori degli atleti più giovani spesso fanno disastri, spingendo i figli verso il guadagno, ma senza dare loro basi ed equilibrio. La vera preoccupazione dei miei era che, nonostante il calcio, arrivassi al diploma. Preso quello, mi iscrissi all’Isef. Ma la frequenza era obbligatoria e io ero sempre in giro. Poi, spesso, non avevo testa. Al Como avevo come compagno di stanza Piero Volpi, l’attuale medico sociale dell’Inter e primario in Humanitas. Era bravissimo, studiava sempre. Io riuscivo a stare sui libri solo quando giocavo bene, nei periodi più difficili avevo difficoltà”.

Sulla costruzione del gioco dal basso:

La costruzione dal basso quando non serve è snervante. Ricordo l’ultima Inter di Spalletti, che ripartiva dal portiere e spesso perdeva palla. Se sei più forte, va bene. Ma se sei più scarso, tanto vale fare un paio di passaggi e metterla in mezzo. Al limite, anche giocare una palla lunga. Ma il calcio va a mode. Ora in Italia sembra che tutti debbano fare la difesa a tre, che poi è quasi sempre a cinque. La difesa a tre la fa davvero solo l’Atalanta, che rischia sempre e difende col campo aperto alle spalle. Ma anche questa moda passerà. Arriverà qualcuno che scompaginerà e si cambierà”.

Il suo più grande rimpianto, dice, è il rigore ai mondiali ’90 a Napoli.

“Ne ho tanti. Pensando al calcio, ovviamente il rigore ai mondiali ’90 a Napoli. Ed ero il quinto. Io non sono mai stato rigorista, e Vicini lo sapeva. In carriera ne ho calciati una decina in tutto. Il mister mi chiese se ero pronto. Gli dissi che era meglio se faceva un altro giro fra i compagni, ma arrivati a tre non si fece avanti nessuno. Allora dissi che ero pronto. Ma lo diceva solo la mia voce,  le gambe non erano d’accordo. Non l’ho angolato abbastanza e il portiere ha parato. Ho sognato tante volte di poterlo calciare di nuovo, ma la vita non funziona così”.

E conclude dicendo di essere fiero di essere riuscito a fare il calciatore.

“Di essere riuscito a fare il calciatore. Non ci ho creduto fino a quando non è successo. Anzi, a ben vedere non ci credevo nemmeno mentre succedeva. Era il mio sogno da bambino e mi sembrava incredibile averlo realizzato. Mi sono stupito a ogni partita, a ogni gol, fino al ritiro. È stato tutto bellissimo”.

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