Il direttore dell’Istituto Mario Negri al CorSera: “Bisognerebbe dire quanto Covid-19 c’è nelle nuove positività. Nei test di marzo i campioni erano pieni di RNA”
In un’intervista al Corriere della Sera, il direttore dell’Istituto Mario Negri, Giuseppe Remuzzi, si sofferma sulla necessità che le informazioni provenienti dal Governo e dall’Istituto Superiore di Sanità siano più puntuali. E che smettano di terrorizzare la cittadinanza. Anche rispetto a quanto accade in Lombardia, dove ogni giorno si concentrano il 70-80% dei contagi nazionali.
«Bisogna spiegare cosa sta succedendo alla gente, che giustamente si spaventa quando sente quei dati».
L’Istituto Mario Negri, spiega, sta per pubblicare uno studio che aiuterà a capire molte cose. Per dettagliare i risultati della ricerca, Remuzzi spiega il funzionamento dei tamponi.
«Per la ricerca del virus si usa la tecnica della reazione a catena della polimerasi (Pcr), in grado di amplificare alcuni specifici frammenti di Dna in un campione biologico. Per il Covid-19, funziona così. Il genoma del coronavirus presente sui tamponi, ovvero l’Rna, viene trascritto a Dna e amplificato mediante tecnica Pcr, che aumenta enormemente il materiale genetico di partenza. Più elevato è il contenuto sul tampone di Rna, quindi di virus, e meno dovrà essere amplificato».
La ricerca del Mario Megri è effettuata su 133 ricercatori dell’Istituto e 298 dipendenti della Brembo.
«In tutto, quaranta casi di tamponi positivi. Ma la positività di questi tamponi emergeva solo con cicli di amplificazione molto alti, tra 34 e 38 cicli, che corrispondono a meno di diecimila copie di Rna virale. Significa che sono casi di positività con una carica virale molto bassa, non contagiosa. Li chiamiamo contagi, ma sono persone positive al tampone. Commentare quei dati che vengono forniti ogni giorno è inutile, perché si tratta di positività che non hanno ricadute nella vita reale».
Sotto le centomila copie di Rna, continua,
«non c’è sostanziale rischio di contagio, secondo un lavoro appena pubblicato da Nature e confermato da diversi altri studi. Quindi, nessuno dei “nostri” 40 positivi risulterebbe contagioso. Questo significa che il numero dei nuovi casi può riguardare persone che hanno nel tampone così poco Rna da non riuscire neppure a infettare le cellule. A contatto con l’Rna dei veri positivi, quelli di marzo e inizio aprile, le cellule invece morivano in poche ore».
Stessi risultati ha dato un altro studio, effettuato in Corea dal Center for Disease Prevention.
«Su 285 persone asintomatiche positive, ha rintracciato 790 loro contatti diretti. Quante nuove positività? Zero. E le risparmio altri studi che vanno in questa direzione».
Sono tutte cose che l’Istituto Superiore di Sanità e il Governo dovrebbero spiegare, continua.
«Una positività inferiore alle centomila copie non è contagiosa, quindi non ha senso stare a casa, isolare, così come non è più troppo utile fare dei tracciamenti che andavano bene all’inizio dell’epidemia».
L’esorbitante numero di casi che si registra in Lombardia è dovuto solo al fatto che nella regione il virus è circolato molto.
«e questi sono i residui di quella diffusione».
I 216 nuovi casi in Lombardia su 333 in tutta Italia non devono dunque preoccupare.
«No, se sono positivi allo stesso modo di quelli della nostra ricerca, ovvero con una positività ridicolmente inferiore a centomila. Perché non possono contagiare gli altri».
Per capire se possono o meno farlo, conclude,
«Bisogna dire quanto Covid-19 c’è nelle nuove positività. E quello che sto chiedendo. Il virus è lo stesso, certo. Ma per ragioni che nessuno conosce, e forse per questo c’è molta difficoltà ad ammetterlo, in quei tamponi ce n’è poco, molto meno di prima. E di questo va tenuto conto».