L’ex allenatore del Napoli pubblica sul suo sito un ampio reportage sulle differenze nella gestione del contagio. Il paragone con le nostre misure è desolante
Dalla Hong Kong alla Cina continentale, passando per la Spagna, con un occhio ai modelli della Nuova Zelanda e della Corea del Sud. Rafa Benitez è uomo di mondo, anche ora che il mondo è sballottato tra decine di approcci diversi alla pandemia di coronavirus. L’ex tecnico del Napoli – che è uno preciso, attendo, metodico – usa la sua esperienza di allenatore in Cina e di viaggiatore cross-continentale per lavoro per descrivere “ciò che so, ciò che ho visto e vissuto”, e “che potrebbe aiutare le persone a prepararsi meglio quando arriverà la seconda ondata di questo virus, o magari con un’altra in futuro. Un vero e proprio reportage pubblicato sul suo sito ufficiale, con una visione “globale”.
Spoiler: l’approccio asiatico è meticoloso, ossessivo. Il paragone con le misure cautelative europee è imbarazzante. E non promette nulla di buono.
“Il virus SARS si è diffuso in Asia nel 2003 – scrive Benitez – e ha aiutato paesi come la Cina, la Corea del Sud, la Nuova Zelanda e l’Australia a reagire più rapidamente e in modo coordinato rispetto ad altri paesi di fronte al Covid-19”.
Benitez parla della sua esperienza man mano che l’epidemia s’è trasformata in una pandemia:
“Abbiamo iniziato la prima metà della pre-season con il nostro team, Dalian Pro, a Xiamen (Cina) a metà gennaio. Quando abbiamo terminato questa prima fase, la Cina aveva già iniziato ad adottare misure per contenere il virus. Le misure sanitarie che tutti conosciamo ora (lavarsi le mani con acqua e sapone, distanziamento sociale, misurare la febbre, ecc.), nonché la quarantena della popolazione per ridurre il rischio di contagio”.
“Prima di unirmi alla squadra per la seconda parte della pre-season in Spagna, sono andato a trovare la mia famiglia a Liverpool e già in quel momento, quando ho lasciato la Cina alla fine di gennaio, ho dovuto indossare una mascherina, occhiali, guanti e portare gel antibatterico, come raccomandato. Quando sono arrivato in Inghilterra mi sono tenuto a una certa distanza dai miei familiari e, mentre la conoscenza della diffusione del virus continuava ad aumentare, ho chiamato mia figlia che era in Italia per farla tornare direttamente in Inghilterra. Per fortuna, siamo riusciti a farlo prima che tutti i confini fossero chiusi”.
“All’inizio di febbraio, i miei giocatori sono riusciti a viaggiare dalla Cina alla Spagna, poco prima della chiusura dei confini e degli aeroporti. Allo stesso tempo, ho viaggiato dal Regno Unito a Marbella per iniziare questa seconda parte del ritiro con la mia squadra. Non riuscivo a vedere la mia famiglia a Madrid a causa dei crescenti casi di infezione in città ed era un rischio per tutti quelli intorno a me, quindi ho deciso di non andare. Da Marbella siamo andati ad Alicante per un po’ di tempo, e dopo oltre un mese in Spagna, siamo tornati in Cina. Lì ho viste confermate le differenze su come affrontare il rischio di contagio”.
Benitez dice di aver guardato molto e studiato la tv coreana e della Nuova Zelanda per capire come hanno agito loro.
“Accettano, per innato spirito di solidarietà, che l’uso delle mascherine è più per proteggere gli altri che se stessi. Dall’arrivo negli aeroporti misurano la temperatura delle persone fino a tre volte, in una zona di transito. Disinfettano i sedili, i muri, le fontane dell’aeroporto, qualsiasi cosa possa ospitare il virus, controllano la temperatura con i termoscanner prima di entrare negli edifici e hanno un’app che monitora coloro che sono infetti. Gli esperti di questi paesi riconoscono che i test iniziali, con il successivo monitoraggio di quelli infetti e il blocco precoce, sono stati fondamentali per controllare la diffusione del virus e per fornire più tempo di reazione al sistema sanitario”.
La situazione ad Hong Kong e in Cina è sulla stessa linea:
“I protocolli sono abbastanza chiari e molto simili a quelli utilizzati in altri paesi dell’Est. All’arrivo sono stato messo in quarantena, incluso un braccialetto con un codice a barre che attivi e poi “ti monitora” durante i 14 giorni in cui sei isolato. In quel momento, il cibo e tutto ciò che potevi desiderare era lasciato fuori alla tua porta e quindi non avevi alcun contatto diretto con il personale dell’hotel. Dopo la quarantena, quando sono andato al ristorante, mi hanno fatto il controllo della temperatura all’entrata. Devi disinfettare le mani con il gel antibatterico; in altri ristoranti mi hanno dato un sacchetto di carta per mettere la mia mascherina dentro; altri avevano piccole tende tra i singoli tavoli, con i camerieri che mantenevano sempre una certo distanza e indossavano le mascherine. Quando si prendono ascensori o scale mobili, spesso si trova qualcuno che disinfetta i pulsanti o i poggiapolsi. Quando lasci il ristorante, ti disinfetti di nuovo le mani. Se possono, cercano di usare pochi i soldi, utilizzano la carta o il famoso WeChat sul telefono, che usano per pagare tramite la scansione di un codice a barre”.
“Quando eravamo in Spagna, ci hanno detto che le maschere erano utili solo per coloro che avevano il virus in modo che non lo diffondessero, ma hanno insistito che noi, dalla Cina, dovevamo indossarle sempre e mantenere le distanze. Ora le mascherine sono obbligatorie in molti paesi, a conferma della mancanza di informazioni che si è avuta all’inizio. Un giorno, camminando per la strada in Cina, ho visto una grande fila di persone (circa un centinaio). Mi sono avvicinato e sono rimasto scioccato: stavano distribuendo maschere gratis, circa 50 a persona. Ho pensato alle difficoltà che ci sono in Europa per averle, anche negli ospedali”.
Benitez parla anche del protocollo di squadra:
“Il nostro protocollo prevedeva il rilevamento della temperatura due volte al giorno e la disinfezione delle mani ogni volta che dovevamo incontrarci per mangiare. Eravamo in un’area separata dell’hotel e non ci era permesso di lasciare le strutture”.
“Quando siamo tornati in Cina dalla Spagna, la prima cosa che abbiamo fatto è stata dare a ogni giocatore la propria stanza, isolata. Ci hanno convocato per fare un tampone e da quel momento, né noi né lo staff abbiamo lasciato le nostre camere da letto per i successivi 14 giorni. Il cibo ci veniva portato nei famosi piccoli contenitori Tupperware e in sacchetti, con posate di plastica, tutte usa e getta, e gli impiegati che venivano ci portavano il cibo erano sempre protetti con guanti, mascherine, occhiali protettivi e tute speciali. Fortunatamente, nessuno è risultato positivo. Alla fine dei 14 giorni tutti sono stati nuovamente testati. Ti danno una “carta verde” in modo da poterla mostrare in qualsiasi struttura in cui vai per dimostrare che non hai il virus“.
“Questa – scrive Benitez – potrebbe essere la realtà per le squadre se e quando si riprenderà a giocare: molte precauzioni, un sacco di controlli, non solo per i giocatori, ma per tutte le persone che sono in contatto con loro”.