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Brusaferro: «Nella Fase 2 fondamentale il monitoraggio a livello locale per prevenire i focolai» 

Il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità: «Se non si è certi di non essere stati esposti al contagio occorre avere cautela nelle visite ai parenti anziani e comunque usare sempre le protezioni e curare l’igiene delle mani».

Brusaferro: «Nella Fase 2 fondamentale il monitoraggio a livello locale per prevenire i focolai» 

Nel corso della conferenza stampa della Protezione civile è intervenuto il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro.

«Il trend, aldilà delle flessioni del fine settimana sui tamponi, in cui si fanno meno tamponi, è di progressivo decremento dei morti e dei casi di infezione. Ma c’è ancora una circolazione del virus nel Paese».

Ha poi spiegato meglio quali sono le diverse tipologie di mascherine consigliate.

«Le mascherine si dividono in due categorie, quelle di tipo 1, ovvero le chirurgiche, raccomandate per personale sanitario, quelle di tipo 1, dispositivi medici, raccomandate per la popolazione, ma per pazienti e accompagnatori in determinati contesti. poi le mascherine non mediche, raccomandate per la popolazione, hanno la funzione di ridurre o limitare l’emissione di droplet da parte di chi le porta. Proteggono soprattutto gli altri dal nostro potenziale essere positivi».

Brusaferro ha anche fornito chiarimenti su quali sono gli ambienti in cui è opportuno usarle.

«Luoghi chiusi dove è difficile mantenere il distanziamento sociale, come i supermercati o i mezzi di trasporto. Questo vale anche negli ambienti aperti quando siamo troppo vicini ad altri. L’uso di mascherina non deve dare false sicurezze. E’ un elemento aggiuntivo all’igiene personale, al lavaggio delle mani e al distanziamento, che sono sempre le misure principali da osservare».

Sulle misure adottate sull’intero territorio nazionale nonostante le diversità tra le regioni.

«Le misure adottate a livello paese ci hanno consentito di raggiungere i risultati che vediamo, ovvero la restrizione della circolazione del virus, anche se con differenze in base a quanto è circolato il virus in precedenza. La prospettiva in cui ci muoviamo come Comitato è dare misure generalizzate ma monitorare anche a livello regionale, per fare interventi specifici nelle aree in cui si possano creare dei focolai. Il passaggio successivo sarà proprio questo monitoraggio stretto a livello locale».

Il presidente del Consiglio, Conte, ha detto che se la scuola riaprisse adesso nel giro di due settimane ci sarebbe un’impennata dei contagi in base a studi scientifici. Cosa dice la scienza in merito? Cosa si fa per prevenire, in vista di settembre?

«Parliamo di modelli sviluppati in Italia e altrove. La scuola, per vari motivi, anche perché ha momenti di aggregazione tra ragazzi e un suo insieme di correlati legati a chi porta i ragazzi a scuola, a mezzi di trasporto e così via,mostra come possa diventare un luogo che favorisce la diffusione dell’infezione. La prospettiva, ora, è di guardare cosa sta avvenendo e, rispetto al prossimo anno scolastico, vedere l’andamento dell’epidemia, sperando possa essere tenuta sotto controllo. Intanto immaginare modelli organizzativi tali da evitare la possibilità che quel tipo di attività possa generare di nuovo o favorire la crescita dell’epidemia. Terremo conto anche delle diverse fasce di età. Il Ministero ha attivato un gruppo di esperti che sta lavorando su questi scenari».

Perché in Svezia, ad esempio, si sono tenute aperte le scuole?

«La Svezia ha fatto scelte molto diverse in generale dalle nostre. Ha però una situazione demografica e di densità abitativa molto diverse da noi, popolazione molto giovane. E’ difficile. La Spagna e la rancia, paesi latini, non stanno facendo politiche molto diverse dalle nostre. vediamo quando aprono che tipo di aperture faranno. Abbiamo posto come grande cautela l’aggregazione in periodi lunghi in aule dalle dimensioni contenute. Non dimentichiamo tutto quello che comporta l’arrivare a scuola. Prendere metro, mezzi di trasporto, e così via. Non è solo il momento scolastico in sé. Poi in Italia c’è il ruolo della famiglia allargata, con i nonni che hanno un ruolo importante con  i bambini, cosa che non accade nei paesi nordici».

Le persone che finora hanno lavorato e decidono di andare a trovare i propri parenti, come fanno ad essere certi di non essere entrati in contatto con il virus o di non essere asintomatici?

«Ci siamo sempre detti che le persone anziane sono fragili. Se non si ha certezza bisogna essere molto cauti. Faccio fatica ad immaginare che uno faccia un tampone prima di andare a trovare i suoi parenti, richiede dei tempi anche abbastanza lunghi. Non è la strada. Se uno per motivi professionali è esposto alla possibilità di contagio, deve farlo con grande cautela e comunque usando le protezioni, in modo rigoroso e curando l’igiene delle mani».

Quali sono i piani se i contagi tornassero di nuovo a crescere?

«Difficile dare una risposta. L’auspicio è di fare un passo alla volta mantenendo il distanziamento sociale. E di monitorare quello che avviene. In modo da non bloccare di nuovo tutto il Paese ma solo, se necessario, l’area territoriale dove si riscontra un problema. Ci aspettiamo dei casi, che possano succedere, ma in comunità ristrette dove possiamo intervenire subito per contenerli».

 

 

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