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Altro che “livella”, negli USA il coronavirus uccide i neri molto più dei bianchi

Il sistema delle assicurazioni mediche è esploso: la pandemia ha lasciato la gente senza lavoro e copertura, e i più poveri devono scegliere se curarsi o indebitarsi. Resistono fino a quando non è troppo tardi

Altro che “livella”, negli USA il coronavirus uccide i neri molto più dei bianchi

Il coronavirus, dicono, non fa discriminazioni: contagia e uccide ricchi e poveri, bianchi o neri, uomini e donne. Ma la “livella” sociale della Covid-19 non vale negli Stati Uniti. Perché lì la questione razziale non è solo endemica a livello politico, viene fuori clamorosamente come risultato delle storture del sistema sanitario nordamericano. E in piena epidemia cominciano a parlare le statistiche: i neri muoiono più dei bianchi, di parecchio.

E’ un fenomeno che si sta rivelando con una certa prepotenza, tanto da indurre cinque parlamentari tra cui l’ex candidata alle primarie dei Democratici Elizabeth Warren, a richiedere ufficialmente ai Centers for Disease Control and Prevention (i famosi CDC), di raccogliere dati sull’appartenenza etnica dei contagiati. Per ora, scrive Il Post, sono solo tre gli Stati ad aver pubblicato statistiche a riguardo, e i numeri sono eloquenti.

In Illinois, per esempio, lo stato di Chicago (che è la terza città più popolosa degli Stati Uniti), il 14 per cento della popolazione è nera, il 29 per cento dei contagiati è afroamericano, ma la percentuale di neri morti a causa del virus sale al 42 per cento. Stesse percentuali all’incirca per Michigan e North Carolina.

Perché? E’ un cane che si morde la coda, e si spiega così: negli Stati Uniti il sistema di assistenza si regge sulle assicurazioni private. Esistono due programmi statali per aiutare i più fragili (il Medicare e il Medicaid) ma tutti quelli che vogliono essere curati devono possedere un polizza, o pagare di tasca propria conti salatissimi, alla portata di pochissimi. La maggior parte dei cittadini ha una assicurazione medica perché questa è inclusa nel contratto di lavoro. In pratica: se lavori puoi curarti, se non lavori no. Quando per un evento qualsiasi la disoccupazione sale, aumenta di conseguenza il numero delle persone che restano scoperte. Ma se a causare un picco (storico) di disoccupazione di massa è una pandemia, allora ecco che il cane si morde la coda: la gente si ammala, e non può curarsi perché nel frattempo ha anche perso il lavoro. La sommatoria è devastante. E chi ci rimette sono le fasce di popolazione più povere. Negli Stati Uniti sono le minoranze etniche.

C’è anche una legge che permette di mantenere la polizza sanitaria – scontata – per chi perde il lavoro, pagandola in proprio. Va da sé che se non hai più lo stipendio, dopo un po’ non potrai permetterti nemmeno di sostenere le rate dell’assicurazione. Per cui le persone disoccupate e senza più assicurazione, se manifestano i sintomi della Covid devono scegliere: restare a casa e sperare di riuscire a guarire da soli, o andare in ospedale e sottoporsi ad un salasso economico che non riusciranno a sostenere. Insomma, si resiste il più possibile, e quando proprio i sintomi diventano insostenibili ci si reca all’ospedale. Spesso è troppo tardi, e si muore.

Le disparità endemiche fanno il resto: i neri sono impiegati più spesso dei bianchi in lavori che non prevedono lo smart working, usano i mezzi pubblici per recarsi al lavoro e in generale affrontano molte più possibilità di contagio.

Sono di meno, si ammalano di più, muoiono molto di più. Il virus non c’entra, ma non “livella”. Piuttosto acuisce le discriminazioni preesistenti.

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