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Valdano: «Il coronavirus ha fatto capire al calcio la sua dimensione ma il calcio non vuole capirlo»

La rubrica su El Paìs: “Gli applausi si sono trasferiti dagli stadi ai balconi. Il calcio, male abituato, non vuole scendere dal palco e discute di quando la festa ricomincerà”

Valdano: «Il coronavirus ha fatto capire al calcio la sua dimensione ma il calcio non vuole capirlo»

Il sabato è il giorno della rubrica di Jorge Valdano su El Paìs. Già la scorsa settimana, Valdano ha scritto dell’impotenza del calcio che si è trovato nudo di fronte a questa drammatica emergenza. Concetto su cui torna anche oggi.

Il senso delle proporzioni. Il calcio si è creduto importante fino a quando il coronavirus gli ha detto la verità: è solo una simulazione della realtà. Lo dirò evidenziando la sua grandezza culturale: una gloriosa simulazione della realtà. Il coronavirus ha portato via l’attenzione per il calcio e i suoi eroi. Gli applausi si sono trasferiti dagli stadi ai balconi. Il calcio, abituato male, resiste e non vuole scendere dal palco, discutendo di come e quando la festa ricomincerà. Ogni volta che mi imbatto nella mancanza di senso delle proporzioni,  ricordo che la storia che ho letto attribuita a Churchill a proposito di un uomo che saltò fuori dal molo per salvare un bambino che stava annegavando. Una settimana dopo, il marinaio fu avvicinato da una donna che gli chiese: “Sei tu l’uomo che ha salvato mio figlio al molo?” Il marinaio rispose modestamente: “Sì, signora.” “Allora tu sei l’uomo che stavo cercando. Dov’è il cappello del bambino?”.

Valdano prosegue:

Non è solo il calcio, ma è lo sport in generale che continua a cercare il suo berretto nel bel mezzo del caos sociale. Come scrisse Santiago Segurola, il Cio somiglia all’orchestra del Titanic.

E fa anche un’osservazione sul gioco, sulla presunta evoluzione.

Dal momento che non possiamo guardare avanti perché il paesaggio è sfocato, i televisori hanno cominciato a guardare indietro. Ho visto la finale della 78esima Coppa del mondo tra Argentina e Olanda, o quella di Spagna e Olanda del Sud Africa 2010, per vedere come il tempo sta accelerando il ritmo del gioco. Ogni volta bisogna essere più precisi a velocità più elevate. È la preistoria calcistica vedere i portieri raccogliere con le loro mani il passaggio di un compagno, e quel fascino per il vagabondare esibito da alcuni giocatori con un talento superiore è già scomparso. Ed è chiaro, guardando indietro, che gli allenatori hanno  il cervello del gioco. Ciò che non ci piace, è ugualmente chiamato evoluzione?

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