Sul Fatto l’intervista a Marco Rizzi, primario dell’Infettivologia dell’ospedale Papa Giovanni: “Ai primi di febbraio il virus già circolava. Sono scelte difficili ma non credo che si pensasse a danni economici o di immagine”
Il Fatto Quotidiano intervista Marco Rizzi, primario del reparto di Infettivologia del Papa Giovanni XXIII. L’ospedale di Bergamo è in prima linea nella lotta al Covid-19 che sta sterminando la popolazione della città lombarda.
“Chi non è malato e non è morto, è contagiato: i dati ufficiali sono solo la punta dell’iceberg”.
Il professore spiega.
“La maggior parte delle persone nella nostra zona è contagiata: il serbatoio di persone infettabili è finito. Non abbiamo screening di casi sommersi, ma sappiamo che molti muoiono in casa e nelle Residenze sanitarie assistenziali”.
Il problema è relativo anche ai tempi più lunghi con i quali si gestiscono le emergenze rispetto a prima. In tanti muoiono anche per patologie diverse dal Covid-19 ma perché i tempi di intervento, data la situazione disastrosa degli ospedali, si sono inevitabilmente allungati.
“Ci capita tutti i giorni di avere persone che dicono di aver atteso tanto e ci capita dicano che hanno qualcuno in casa che sta male e poi ci ritelefonano per dire: è morto. La tempestività non è la stessa di due mesi fa. Ci saranno due tipologie di morti: quelli per coronavirus e quelli per altre patologie perché non sono stati curati con la tempestività e qualità che in tempi normali si assicurano”.
Molti di questi pazienti non si trovano nei numeri ufficiali. I tamponi vengono fatti solo a chi viene ricoverato, già grave, in ospedale. Agli altri viene solo consigliato di restare in casa e seguire la terapia assegnata dal medico di base.
Il nodo è stata la mancata attivazione, immediatamente, della zona rossa. Soprattutto allo scoppiare del caso dell’ospedale di Alzano Lombardo. Non aver introdotto misure restrittive subito ha permesso al virus di circolare.
“Tutti col senno di poi potremmo dire che bisognava fare la zona rossa. Misure più precoci non ci avrebbero fatto arrivare a questo punto”.
Ma perché non è stato fatto? Perché il problema è stato sottovalutato o per le pressioni di chi non voleva bloccare l’economia della zona?
“Non credo che nessuno abbia deliberatamente corso questo rischio. Francamente non ho motivo di pensarlo. Non si poteva bloccare tutto subito. Bisogna capire se si trattava di un caso isolato o un focolaio. Sono scelte difficili e non credo che si pensasse a danni economici o di immagine”.
Qualcuno ha parlato di strane polmoniti che giravano già nel mese di gennaio.
“Dati di certezza non ne ho su gennaio. Ma ai primi di febbraio il virus già circolava e la partita si è giocata negli ultimi giorni di febbraio: tra il 21 e il 29 quando stava emergendo l’evidenza che lì c’era un problema più grande, uno scenario più grande”.
Quanti morti invisibili ci potrebbero essere?
“L’eco di Bergamo normalmente ha una pagina di necrologi. In questo periodo ne ha una dozzina”.