ilNapolista

C’è un allenatore a Napoli, più di un giudice a Berlino

Due anni fa l’ambiente strepitò per gli errori arbitrali, oggi vanno nascosti. Tra la vis neoborbonica di Adl e la mancanza di adrenalina, Ancelotti che continua a lavorare

C’è un allenatore a Napoli, più di un giudice a Berlino

“L’adrenalina è fantastica – diceva il saggio Jerry Lewis – : elimina il dolore, la demenza. Non ti fa sentire più nulla”. È l’ormone che manca al Napoli in versione campionato. Lo si vede dai sorrisi smorti, neanche accennati, dei giocatori che segnano (quando si passano la palla) senza esultare. Una disciplina sportiva nuova, il “gol senza urlo”, che farà capolino ai prossimi giochi olimpici assieme all’orgasmo smorzato.

Per una epinefrina di cui il Napoli ha penuria c’è un virus di cui Napoli, la città, ha sovrabbondanza: è il tempo libero. Quando ve n’è troppo i minuti si dilatano e provocano un senso di annebbiamento, una strana euforia, quella che può portare il più titolato giornalista sportivo italiano a inventare una notizia – quella del figlio di Ancelotti che dirige gli allenamenti della squadra – che addirittura richiede una telefonata del mister azzurro per una rettifica postuma in diretta tv: “Dissi che gli allenamenti li dirigeva Davide, mi dissero così, ma li dirige Carlo Ancelotti. Avendo detto una sciocchezza, da uomo Ancelotti mi ha detto di non dirlo più”. Tale è lo stato del giornalismo nazionale.

Lo stesso tempo libero che porta una marea di tifosi a cedere ad ogni congettura – la fronda, l’ammutinamento, le mogli terrorizzate, le panchine che arrivano come avvisi di garanzia, i gol segnati per sbaglio. In questo ottimamente suffragati da un presidente che ha una vis neoborbonica dentro che a volte salda tifo e società in un matrimonio di amorosi sensi – perché, diciamolo chiaramente, se dici che in Cina si vive una merda allora ha ragione chi, con lo stesso metro di giudizio, pensa che il cinepanettone che produci valga meno della vita in Cina.

Intanto il cellulare vibra. Il solito amico partenopeo, quello ormai convinto che anche il conflitto economico globale sui dazi tra USA e Cina si possa risolvere con un 4-3-3 ben applicato, mi dice che a Napoli si è visto lo spirito leaderistico di Reina camminare nei pressi di Castelvolturno, proprio a ridosso del tempo di Avvento.

Rimane solo il povero Roberto Liberale, vox clamantis in deserto (quindi in pieno spirito prenatalizio), a ricordare la catena interessante di errori arbitrali subiti dal Napoli. Certo, non è sicuramente questa la città che ceda a codesti grossolani e triviali sofismi per giustificare minimamente un periodo di crisi – la nostra è una comunità troppo introspettiva per abbandonarsi a questi sotterfugi. Lo si fece, assai pacatamente, un paio d’anni fa, quando per giustificare una rincorsa scudetto gettata via si invocarono gli alberghi, ma allora c’era ben altro comandante sulla nostra panchina, ben altro rivoluzionario, identitario, insomma uno per cui la lotta contro la realtà la fai a cuor leggero. Con serenità.

Oggi in panchina c’è uno che, tutto sommato, l’anno prossimo va via. E non lo puoi biasimare. Perché questo manicomio permanente se lo può risparmiare volentieri. Nel frattempo, tra un racconto della lavagna del figlio presidenziale e un documento bollato dell’avvocato difensore di Allan (che avrebbe speso notti intere a trovare il cavillo burocratico tra le migliaia di pagine dei faldoni dei contratti dei calciatori), c’è uno che continua a lavorare. A pensare a come mettere in sicurezza la prossima gara. A come passare in Champions. C’è un allenatore a Napoli, più di un giudice a Berlino.

Siccome ha bisogno di sostegno, alla prossima di coppa sono felice di venire ad applaudirlo al San Paolo. Sostenendo anche gli undici sfiduciati che faranno ingresso in campo. Segnando senza esultare. Il metodo Jerry Lewis vale sempre così come vale un biglietto per un paio d’ore di adrenalina. Per combattere il dolore. Ma, soprattutto, la demenza.

ilnapolista © riproduzione riservata