Il Napoli non è una squadra da combattimento. Le battaglie disperate non sono nel suo dna. Ma il calcio italiano di questo passo rischia il default
Un potere ottuso e anche subdolo. Quelli che il calcio, quelli che non rispondono mai del proprio operato, quelli del Var a piacere fate voi, quelli che sospendono le partite per discriminazione territoriale solo per dare un contentino agli “arrabbiati”. L’irato presidente del Napoli e l’incredulo Ancelotti hanno aperto il vaso di Pandora e svelato col loro “Basta” tutti i mali del pallone. Mancata uniformità di giudizio.
E il braccio dove lo metto?
Designazioni discutibili. Sudditanza ai poteri forti. Miopia sulle nuove tecnologie, asservendole a favoritismi e interessi di casta. Fatta la legge, trovato l’inganno. Si sfiora il ridicolo: ‘sto benedetto braccio contro natura dove lo metto dove lo metto? Giù, su, largo, stretto, c’è sempre l’interprete metà don Abbondio metà don Rodrigo, che deve mischiare a sua discrezione il diavolo con l’acqua santa. E così siamo punto e a capo, in attesa delle ritorsioni.
Leggerezza, non pali
Necessario cambiare rotta. Il Napoli non è una squadra da combattimento. Le battaglie disperate non sono nel suo dna, eppure bisogna dare alla squadra un obiettivo “carnale”. Raggiungere la zona Uefa, tra terzo e quarto posto, in una stagione così disgraziata (finora), potrebbe riportare tutti a un bagno di realtà, che non è detto debba essere avvilente e triste. Fare soprattutto belle partite, con un obiettivo ben chiaro in testa, può restituire leggerezza e non incocciare il solito palo.
Sorpresa: il San Paolo sta col presidente
Stavolta, il San Paolo ha fatto la voce grossa, condividendo il momento e la discesa in campo del presidente. La Serie A non può essere governata in questo modo. Le parole sono state chiare e anche oltre. Ora, però, bisogna dare uno sbocco alla rabbia e alla protesta. “Politico”. L’industria sociale e popolare del calcio merita una moderna attenzione e non il giovamento di pochi e potenti feudatari.
Uno sbocco alla protesta
Diciamolo chiaramente: se è vero che non se ne può più di questo andazzo, vanno cambiati assetti, visioni e persone, che non possono essere sempre le stesse con i loro inveterati legami del passato.
Si deve essere solo ottusi per non vedere il rischio di un default del calcio italiano e di nuove tangentopoli, anche se vestite con gli abiti del Var.