Quale sarebbe il peccato dei sarristi, se non quello di aver creduto e goduto di un rinnovamento del concetto di sport in chiave estetica?
Perché tutto questo astio?
Amici napolisti e antisarristi: devo definirvi tali, perché non avete un’identità tattico-calcistica precisa. Lodavate Mazzarri, lodavate Benitez a oltranza anche durante l’era di Sarri, adesso lodate Ancelotti e ve la prendete con i nostalgici del bel gioco.
La domanda devo girarla, uguale e contraria: perché tutto questo astio? Sembra che voi disprezziate qualunque trascendenza dello sport, qualunque cosa tracimi dai bordi del mero agone calcistico per diventare società, politica, identità. Come se occorresse flagellarsi per il fatto di essersi sentiti uniti, una fratellanza di un solo ideale e di un unico cuore, durante il triennio di Maurizio Sarri, che ha rinnovato il concetto di gioco, ha offerto spettacolo, ha ispirato timore e venerazione dall’estero, ha riavvicinato al tifo decine di migliaia di persone che per schifo – per Calciopoli, per le scommesse, per l’asservimento totale del calcio professionistico ai dictat del capitalismo finanziario – si erano allontanate.
Allo stadio si va per lo spettacolo
È innegabile questo: poi si potrà parlare di carenze nella mentalità vincente, di ostentazione antiborghese, di mancanza di trofei… Perfetto, ineccepibile. Ma il Napoli di Maurizio Sarri è stato il più grande spettacolo dopo l’era di Maradona. È innegabile. Ricordate che dopo due-tre partite del primo anno volevate già cacciarlo? Noi no, noi dicevamo “dategli tempo”. E già dalla quarta gara si intravedevano le triangolazioni a velocità supersonica, lo spostamento del bacino di gioco in aria avversaria o il pressing e il tiqui-taca forsennato per transitare subito dalla fase difensiva a quella iper-offensiva.
Allo stadio uno ci va per vedere lo spettacolo, se stiamo parlando di grande pubblico: all’anfiteatro si va a vedere il sangue. Se il gladiatore Spartacus avesse vinto ogni combattimento al primo colpo mozzando la testa all’avversario, senza sfoggiare doti di combattimento, gesti atletici, tecnica con il gladio o con la rete, le arene si sarebbero svuotate: la rivolta non ci sarebbe mai stata eppure forse Roma sarebbe caduta lo stesso, da sola, per noia.
Il Napoli di Ancelotti
Potete forse dire che il Napoli di quest’ultimo anno sia stato più “divertente” di quello del primo anno di Sarri? No. E non dite che il concetto di “divertimento” è soggettivo: già a febbraio, o forse prima, il Napoli dava segni di appannamento. E la Juventus usciva vincitrice con N punti di vantaggio. Visto che il fatturato è ineguagliabile, visto che non si può parlare di arbitri, visto che solo la mentalità vincente – secondo molti tra voi – farebbe vincere, e non i grandi giocatori e non il bel gioco, vi chiedo: cosa dovrebbe fare il Napoli? E cosa dovremmo fare noi tifosi del Napoli per continuare a divertirci? La vittoria è bella cosa, eccelsa, è chiaro. Ma è sporadica, episodica, a volte addirittura casuale.
Quale sarebbe il peccato dei sarristi, se non quello di aver creduto e goduto di un rinnovamento del concetto di sport in chiave estetica? Certo, anche utopistica: nell’idea che il bel gioco bastasse da solo a sfondare il muro degli interessi, delle connivenze, del potere. Ma le storie più belle, più epiche, come quella di Spartaco, sono le stesse delle rivoluzioni fallite. Adesso Sarri è passato al nemico. E questa è l’altra legge, impietosa, del mercato. Vogliamo discutere su se sia colpevole o meno? Ve lo concedo. E vi dico di no. Un uomo a 61 anni che per la maggior parte della vita ha dovuto sgomitare per farsi strada, rifiutato, svilito, e solo ora inizia a rinfrescare il mondo stagnante del calcio con la sua visione avanguardistica, merita di fare le scelte che lo premino.
Non per questo non mi sento deluso. Mi sento delusissimo: ma per me il sarrismo è finito quando Sarri è andato al Chelsea. Di che operazione ideologica state parlando? A meno che il bel gioco non sia ideologia… e forse avete ragione. Ma a trasformare la goliardia collettiva e festosa in un mostro ideologico da abbattere siete stati voi. E che ora veniate a dire che siamo traditori, ipocriti, bigotti, ci fate solo ridere: perché siamo come voi. Siamo gli stessi che hanno innalzato Masaniello al ruolo di dio e poi lo abbiamo detronizzato dopo pochi giorni; gli stessi che hanno fatto la Rivoluzione nel 1799 e poi sono tornati con il re; gli stessi che hanno votato Bassolino e gli hanno tolto il saluto quando è caduto in disgrazia.
Perlomeno, abbiamo però il coraggio di gridare con voce una passione e propagandare un ideale, senza nasconderci dietro alla scusa ipocrita del “bisogna essere maturi”. Ovvero, l’atteggiamento che denota un complesso di inferiorità verso altri, verso le squadre del nord, verso i padroni del vapore. Capisco però il vostro punto di vista: vi dà fastidio l’idea che il Napoli non possa vincere uno scudetto e vi illudete che, ostentando un comportamento di tipo “adulto” (ergo juventinizzato, interistizzato o milanistizzato) spariscano di colpo i divari abnormi che separano l’unica grossa squadra del Sud contro il fatturato, l’apparto produttivo, i mezzi di comunicazione, gli interessi, l’azionariato e chi più ne vuole più ne metta delle squadre del nord. Siamo soli, siamo meridionali, per lo meno dal 1860: non ve ne eravate accorti?