Un mistero per giocatori che non sono dei principianti. Come si fa a mancare tanti gol, di testa e di piede, al punto da ricorrere al culo per segnarne uno striminzito?
La crisi percepita
Ci vorrebbe Freud. Per capire come si fa a sbagliare tanti gol davanti alla porta. Per entrare nel retroscena mentale di calciatori, che hanno fatto il Napoli europeo e che lo stanno tradendo non per negligenza, ma per smarrimento. Per giocare così bene da perdere punti su punti e restare ancora secondi.
Il tam tam dei critici, dei preoccupati, dei profetici, di quelli che l’avevano detto, si è messo subito all’opera, bombardando il quartier generale. Intendiamoci, non bisogna fare nessuna difesa d’ufficio. L’assetto globale del Napoli –allenatore, squadra, società- deve misurarsi con la realtà percepita e non solo con quella del “secondo posto che è già un successo”. E’ un fatto che si perdono posti in tribuna e nelle curve, che il consenso verso il club è calato vertiginosamente, che l’agglomerato di calciatori partenti, di quelli storditi dal mercato e di quelli disperati che vedono diminuire il proprio valore, sta diventando ‘nu ngrauoglio di problemi personali e di squadra.
La bella partita persa
Eppure, a costo di beccarsi i fischi di chi propone nuove strategie tipo “caccia ‘e sorde” e “accatta ‘e top”, bisogna dire le cose come stanno. Con l’Atalanta il Napoli ha giocato una partita scintillante, nonostante si sia perso nel finale. Gol mancati per un soffio, azioni bellissime un po’ come contro la Roma, palla in verticale, spettacolo Koulibaly vs Zapata. A parte le cronache televisive, perdonabili perché i due commentatori hanno sbagliato stadio e città e hanno visto un’altra partita, nel primo tempo e in gran parte del secondo, gli azzurri hanno annichilito la squadra bergamasca, sciupando tutto sottorete. Solo la mancanza di mira ha consentito all’Atalanta di cavarsela. Purtroppo, è fastidioso leggere o sentire che il Napoli ha fatto una gran partita, di fronte a un risultato Caporetto. Perché si entra nel difficile e inspiegabile campo dell’imponderabilità. Più facile discutere della Grande Crisi –gli argomenti non mancano- e ingrassare le pulci fino a farle diventare un esercito di cavallette.
Consenso in calo per Carletto
Tra le tante, un poco convincente Ancelotti, che rende pubbliche le défaillance dei propri giocatori, che si incatena, in caso di cessioni, per due di essi, ma non per capitan Insigne (lasciando stare se il ruolo è ben interpretato), che sostituisce verso fine gara due giocatori “caldi”, come Mertens e Zielinsky, tra i migliori, con Verdi e Younes, “freddi” al punto giusto per non combinare niente, che, a forza di iniettare dosi da cavallo di flessibilità, ha fatto desiderare a molti il tempo indeterminato (nei ruoli) di Sarri. Non si può non registrare che il suo consenso sta scemando e che nella realtà percepita di molti tira aria da Bayern. A Carletto e Aurelio il gravoso compito di invertire la rotta e riscaldare, dopo la penitenza, un ambiente depresso.
La testa nel pallone
Nel cahier de doléance partenopeo spicca il problema del gol. Un mistero per giocatori che non sono dei principianti. Come si fa a mancarne tanti, di testa e di piede, al punto da ricorrere al culo (quello vero) di Mertens per segnarne uno striminzito su almeno cinque limpide occasioni? Una sorta di paura di volare. Un possibile gol, che diventa un passaggio sbagliato e non necessario. Tiri belli e accademici, ma senza cattiveria. Un passaggio di troppo, un tempo di gioco in più, il rifiuto del facile e l’amore per il complicato. Istanti d’incertezza, come per un rigore che si sbaglia.
A Freud e successori la spiegazione.